[…ma il CdS aggiunge ulteriori importanti notazioni]

Un altro “tassello” nella ricostruzione della normativa regolatoria del settore dopo il decreto Crescitalia il Consiglio di Stato lo ha posto con la sentenza 15.10.2019 n. 6998 che ha affermato – per la prima volta – l’esclusiva competenza comunale anche per l’istituzione di sedi in soprannumero con il criterio topografico: ne hanno già accennato alcune riviste di categoria ma qui intendiamo parlarne soprattutto per altri aspetti di grande rilevanza e ad ampio spettro che vi si colgono.

  • CdS 9.12.15 n. 5607 – Il criterio topografico è ancora riserva regionale

Uno dei nodi ancora da sciogliere era appunto quello dell’amministrazione competente all’adozione dei provvedimenti istitutivi di nuove sedi ai sensi dell’art. 104 TU., una questione su cui inoltre c’era un solo precedente successivo al Crescitalia [per di più di segno opposto] e si trattava della sentenza del CdS n. 5607 del 9.12.2015, commentata brevemente nel n. 685 di Piazza Pitagora, pag. 22.

Che si sia rinvenuta sull’argomento soltanto questa decisione si spiega agevolmente: la riduzione del quorum a 1:3300, e il proliferare di nuove farmacie con il criterio demografico che ne è seguito, hanno inevitabilmente circoscritto l’ambito di concreto utilizzo del criterio topografico e per ciò stesso anche il relativo contenzioso [in precedenza molto fitto…], anche se temiamo che questo durerà poco visto che gli appetiti in tale direzione sembra stiano riprendendo vigore, come attestano sia la vicenda così disinvoltamente decisa, come vedremo, dalla citata CdS 6998/2019 e più in generale il crescente interesse dei Comuni per l’istituzione di nuove farmacie in frazioni distaccate dal capoluogo anche se di ridotta importanza demografica.

Dapprima è tuttavia opportuno soffermarsi proprio su CdS n. 5607 del 2015, perché – dopo la fondamentale sentenza n. 1858 del 3.4.2013 [che aveva concluso per la persistenza nel sistema di “uno strumento pianificatorio che sostanzialmente, per finalità, contenuti, criteri ispiratori, ed effetti corrisponde alla vecchia pianta organica e che niente vieta di chiamare con lo stesso nome”, un’affermazione che da allora abbiamo visto e vediamo tuttora ripresa pedissequamente in tutte le analisi successive del CdS] – è stata quella che ha impresso una svolta in quel momento decisiva nel lavoro giurisprudenziale di verifica dell’assetto normativo che si può/deve ritenere oggi vigente.

Queste allora le enunciazioni di principio che si traggono dal precedente del 2015:

1) la revisione, sia ordinaria che straordinaria, della pianta organica è interamente di esclusiva competenza comunale, e la Regione non può intervenire in nessuna fase del procedimento e tanto meno assumerne la titolarità e/o adottare il provvedimento finale, pena l’inesistenza [ma poteva bastare l’illegittimità…] di eventuali atti regionali;

2) l’esercizio di poteri sostitutivi in luogo di Comuni “inadempienti”, che non hanno cioè proceduto tempestivamente alla revisione della p.o., è infatti consentito alle Regioni “una tantum” [così leggiamo in questa decisione], quindi soltanto in sede di revisione straordinaria;

3) l’art. 104, perciò il criterio topografico, è sopravvissuto al Crescitalia;

4) competente all’istituzione di farmacie soprannumerarie è tuttora la Regione, “in quanto l’art. 104 del testo unico delle leggi sanitarie non è stato modificato; del resto, questa diversità di disciplina [ndr: rispetto alla competenza generale dei comuni nella pianificazione del servizio farmaceutico sul territorio] ha una sua giustificazione, tenuto conto del carattere eccezionale del provvedimento”.

Ora:

– sull’assunto sub 1 [che allora si era rivelato naturalmente quello di maggior rilievo] non si poteva per la verità che convenire, anche se qualche incertezza era insorta in alcuni autori – ma molto meno nella giurisprudenza amministrativa… – a seguito dalla famosa “sentenza Cassese” [Corte Cost. n. 255 del 31 ottobre 2013] che aveva ipotizzato, qualcuno certo lo ricorderà, un “doppio livello di governo” [Regione e Comune] nel procedimento di revisione della p.o.; è un fatto comunque che in tutte le decisioni successive, compresa quella n. 6998/2019 di cui ci occuperemo tra poco, il CdS si è via via sempre meglio attestato su questo suo precedente del 2015 e quindi si tratta ormai da tempo di ius receptum;

– altrettanto può dirsi in sostanza per l’assunto sub 2), pur se in realtà lo troviamo delineato in termini per la prima volta espliciti e articolati [perché fino a quel momento avevamo visto più che altro notazioni incidentali come in questa stessa sent. 5607/2015] soltanto nel parere del CdS n. 376 del 7 febbraio 2019, che ha deciso un ricorso straordinario al Capo dello Stato [v. Sediva News del 23.07.2019: “Il CdS preclude alla Regione…”], ma d’altra parte solo qualche Regione, e particolarmente quella pugliese, aveva creduto di poter esercitare anche nelle revisioni ordinarie i poteri sostitutivi riconosciuti dall’art. 11 del Crescitalia in quelle straordinarie;

– sull’assunto sub 3) non c’erano neppure allora grandi perplessità, ma questa, se non ricordiamo male, era la prima occasione in cui il CdS aveva avuto agio di occuparsene talché una conferma non poteva essere che salutare;

– resta l’assunto sub 4), sul quale avevamo sollevato nella circostanza sopra ricordata qualche dubbio non ravvisando il “carattere eccezionale del provvedimento” ex art. 104 che potesse giustificare il persistere dell’attribuzione regionale.

  • CdS 15.10.2019 6998 – Anche il criterio topografico è riserva comunale

È dunque quest’ultima decisione ad aggiungere l’ulteriore “tassello” accennato all’inizio: discostandosi infatti da quell’unico precedente del 2015, il Supremo Consesso ascrive ai Comuni anche la potestà in via esclusiva di istituire farmacie con il criterio topografico [v. §2.5 della sentenza] perché attribuzione parimenti connessa – esattamente come l’istituzione e la localizzazione delle ulteriori sedi derivanti dall’applicazione del criterio demografico – ai compiti di pianificazione urbanistica riservati dal nuovo principio fondamentale (statale) enunciato nell’art. 11 del Crescitalia [che è alla base, evidentemente, della riforma come della stessa intera ricostruzione esegetica] ai Comuni, quali enti appartenenti ad un livello di governo più prossimo ai cittadini secondo la regola costituzionale, come già rilevato in parecchie decisioni precedenti, di sussidiarietà verticale.

Proprio perché principio fondamentale e vertendosi in materia [la “tutela della salute”] di legislazione concorrente Stato/Regioni – conclude il Cds richiamando anche qui alcune delle numerose sue pronunce di egual segno – “ne è preclusa la modificazione da parte del legislatore regionale, le cui disposizioni contrastanti devono ritenersi tacitamente abrogate”.

  • Le norme regionali che dispongono altrimenti

Se perciò una norma regionale, antecedente o successiva al Crescitalia, ascrive a un qualunque organo, centrale o periferico, della Regione il potere provvedimentale ex art. 104, dovrebbe ragionevolmente – e auspicabilmente, se si vuole aiutare una certezza del diritto sempre più traballante – essere emendata da ulteriori interventi legislativi.

Dove così non sarà, e d’altronde non si scorgono precedenti che lascino ben sperare in questa direzione, bisogna distinguere:

– nel caso sia una disposizione antecedente al Crescitalia, va considerata caducata [o “tacitamente abrogata”, come dice il CdS] e in sede giudiziaria disapplicata, come abbiamo sottolineato ripetutamente;

– se è invece una disposizione successiva – e alcune incredibilmente sono addirittura recentissime – deve provvedere in “autotutela” proprio il legislatore: diversamente dovrà pensarci, se e quando sarà, la Corte Costituzionale.

  • Ma su Regioni/Comuni il CdS va oltre…

…giungendo a circoscrivere una residua attribuzione alle Regioni alla sola istituzione di farmacie aggiuntive [in aeroporti, stazioni, centri commerciali ecc.] per la loro sicura “ultracomunalità”, ma così, da un lato, trascurando gli spostamenti (anch’essi) “ultracomunali” previsti nel comma 161 della Legge Concorrenza 124/2017 [quel che tuttavia può essere tollerabile trattandosi di una misura successiva al Crescitalia e tutto sommato destinata a una modestissima area di operatività] e però, dall’altro, includendo espressamente – tra le competenze sottratte alle Regioni – anche “i concorsi per l’assegnazione delle sedi”, “ultracomunali” per definizione, e francamente un clamoroso lapsus… calami(?) come questo non è facilissimo perdonarlo.

Il vero è – lo si è rimarcato in altre circostanze – che il “copia e incolla” qualche volta può tradire e questo può esserne un esempio, perché l’accorpamento della “competenza alla formazione e alla revisione della pianta organica delle farmacie” con quelle “ai concorsi per l’assegnazione delle sedi stesse, alla vigilanza sulla efficienza del servizio di assistenza farmaceutica e all’adozione di provvedimenti di decadenza” era stata opera per la prima volta della sent. n. 4525/2016 [poi ripresa da quella n. 652/2017 e da altre ancora] come semplice elencazione di attribuzioni regionali antecedenti al Crescitalia e non di potestà tutte sottratte dal Crescitalia alle Regioni e devolute ai Comuni, quel che per l’appunto afferma invece così distrattamente CdS 15.10.2019 n. 6998.

Se però è doveroso ascrivere solo a un lapsus l’inclusione testuale anche dei “concorsi per l’assegnazione delle sedi” tra le competenze non più regionali, ben diverso dovrebbe essere il discorso per gli altri provvedimenti che il giudice amministrativo non ha avuto ancora occasione di prendere in esame – e “trasferire” anch’essi dalle Regioni ai Comuni – ma che sono egualmente espressione del potere generale di programmazione e organizzazione del servizio farmaceutico.

Risolto cioè via via a favore dei Comuni, e in termini non equivoci, il problema con riguardo alla formazione e alla revisione della “pianta organica” [perciò all’individuazione e localizzazione delle farmacie neoistituite e alla modifica delle sedi, vecchie e nuove], nonché allo spostamento degli esercizi all’interno dei rispettivi “ambiti di pertinenza” [come ormai da qualche anno i giudici amministrativi definiscono con un vocabolario sicuramente felice e appropriato le “zone” o “sedi” farmaceutiche], al decentramento delle “sedi” [d’ufficio o a domanda] ai sensi dell’art. 5 della l. 362/91 e infine, come stiamo vedendo, all’istituzione di farmacie soprannumerarie ex art. 104 TU., sembra del tutto corretto trarre la conclusione che per il CdS – con cui quindi si può senz’altro essere d’accordo – spetta oggi ai Comuni anche istituire i dispensari [permanenti, stagionali e anche i c.d. accessori] e le farmacie succursali, salvo per queste ultime dover riconoscere la persistente competenza regionale nelle ipotesi, previste nell’art. 117 TU., in cui la loro assegnazione debba passare per una procedura concorsuale riservata ai “titolari delle farmacie regolarmente in esercizio nel Comune, sede della stazione o luogo di cura”.

Se è così, come pensiamo, vale anche per i dispensari e le farmacie succursali quel che abbiamo poco fa osservato sul destino delle norme regionali – qui davvero numerosissime – che ascrivono alle Regioni la competenza all’istituzione degli uni e/o delle altre.

D’altra parte, però, le leggi generali sul servizio farmaceutico in alcune Regioni sono ancora quelle vecchie o stravecchie adottate prima della l. 362/91 e nelle altre, dove una legge generale di riordino del settore è stata invece più o meno recentemente approvata, molte disposizioni vanno comunque ineludibilmente e adeguatamente coniugate (anche) con i tanti arresti giurisprudenziali registrati negli ultimi anni, e primi tra tutti proprio quelli sullo spostamento delle competenze di cui stiamo parlando in queste note.

Forse i Consigli regionali saranno spesso in tutt’altre faccende affaccendati, ma le farmacie – pur se magari da par loro anch’esse distratte dalle altre preoccupazioni che sappiamo – dovrebbero probabilmente fare di più, specie in alcune Regioni, per spingere le amministrazioni a dare loro una normativa sul servizio territoriale riscritta [a latitudine naturalmente variabile, secondo lo stato di quella attualmente in vigore] in termini il più possibile sicuri e attendibili, e anzi la certezza circa i diritti che possono legittimamente azionare e l’identità delle amministrazioni interlocutrici dovrebbe essere annoverata tra le esigenze di rango primario, anche se purtroppo almeno in questo momento la sensazione è che le cose non stiano proprio così.

  • Altre notazioni

Consiglio e Giunta

Nella fattispecie decisa da Cds n. 6998/2019 il Comune di Remedello aveva esercitato correttamente, senza cioè lasciare il minimo spazio all’intervento regionale, i poteri ex art. 104 [era stato infatti il ricorrente, titolare della farmacia ubicata in Remedello Sopra, a invocare la competenza della Regione Lombardia] e però il provvedimento istitutivo della sede nella frazione di Remedello Sotto era stato assunto con deliberazione consiliare invece che giuntale, come sarebbe stato ortodosso.

Ma per il CdS, che dichiara di condividere le tesi del Tar, “trattasi di vizio che può ritenersi sanato nella specifica fattispecie dalla singolare circostanza della presenza, in questo piccolo Comune, di tutti i membri della Giunta alla seduta consiliare del 29 luglio 2016 in cui fu adottata la delibera n. 22/2016 impugnata, in quanto i componenti la Giunta sono anche consiglieri comunali”.

E inoltre, “con delibera n. 81 del 19 ottobre 2016, la Giunta comunale nel conferire l’incarico di difesa e rappresentanza al legale del Comune, ha altresì recepito e approvato il contenuto della delibera del Consiglio comunale n. 22 del 2016”.

Sono due affermazioni che suscitano entrambe qualche sospetto, se non altro di eccessiva disinvoltura.

Il “depotenziamento” della distanza legale di 3000 m. e delle ragioni a sostegno dell’istituzione della sede in soprannumero

Dunque:

  • La verifica del rispetto delle distanze dalla sede individuata per il nuovo esercizio farmaceutico viene in rilievo non nel momento attuale della formazione della pianta organica, ma nel momento successivo in cui l’autorità sanitaria autorizza l’apertura dell’esercizio farmaceutico”: il rilievo non è nuovo ed è condivisibile.
  • Non sussiste l’interesse in capo alla Farmacia ricorrente di dolersi del mancato rispetto delle distanze della nuova sede dalla farmacia sita nel Comune di Casalmoro, alla quale fa capo semmai l’interesse “personale” al rispetto delle distanze dal proprio esercizio”: di qui l’inammissibilità di tale censura, essendo proponibile solo dal titolare della farmacia “lesa”, in questo caso di quella “sita nel Comune di Casalmoro”.
  • Senonché, per il CdS, anche quando la relativa censura sia ammissibile – perché proposta da una farmacia legittimata a dedurla essendo ubicata in Remedello Sopra e perciò nello stesso comune – la violazione della distanza legale di 3000 m. non costituisce sempre, in quanto tale e di per sé, un vizio del provvedimento istitutivo della sede soprannumeraria, tenuto conto che il rispetto del limite non può intendersi in modo rigido spettando comunque, continua il CdS, “al giudice nazionale verificare se le regole che pongono limiti all’apertura delle farmacie siano compatibili a consentire l’erogazione di un servizio adeguato con l’obiettivo di contemperare le riserve stabilite dal legislatore in favore dei farmacisti con la tutela della salute pubblica”.

Infatti, secondo la decisione della Corte di Giustizia n. 570 del 1.6.2010 (??), “cui era stata formulata una questione interpretativa pregiudiziale riguardante il richiamato art. 104 TULS (??), al fine di raggiungere in modo coerente e sistematico l’obiettivo di assicurare un servizio farmaceutico adeguato, le autorità competenti potrebbero perfino essere indotte ad interpretare la regola generale nel senso che è possibile autorizzare l’apertura di una farmacia a distanza inferiore alla distanza minima non solo in casi del tutto eccezionali, ma ogni volta che la rigida applicazione della regola generale rischi di non garantire un accesso adeguato al servizio farmaceutico”.

Qui tuttavia la sentenza incappa in un altro errore, anche se forse meno grave dell’altro.

Quasi, cioè, per giustificare/legittimare “a tutti i costi” l’istituzione di una farmacia soprannumeraria in una frazione [immaginiamo di modesta consistenza demografica] che, se crediamo al ricorrente, “si trova nella pianura padana, senza alcun rilievo altimetrico che possa rendere difficoltoso il percorso per raggiungere l’attuale unica farmacia che è aperta sei giorni su sette e offre un servizio efficiente ed adeguato alle esigenze della intera popolazione residente” e per di più è distante solo 2 Km. dal capoluogo, il CdS – trascurando il particolare che la Corte Europea ha affrontato il tema della compatibilità con le norme UE dell’art. 104, solo perché era stato proprio il Supremo Consesso a rimetterle la questione ipotizzando contrasti con le disposizioni comunitarie in realtà ritenute dai giudici lussemburghesi insussistenti – confonde la decisione della Corte sull’art. 104 con quella assunta dagli stessi giudici sulla normativa in tema di farmacie del Principato delle Asturie, richiamando a sostegno della “derogabilità” della distanza un passaggio di questa seconda sentenza [quello riportato poco fa] che in realtà dell’art. 104 non si è occupata minimamente.

Conclusioni

Ma, accantonando le Asturie, dobbiamo forse credere che il Consiglio di Stato intenda comunque avviare sulla “questione distanze” una nuova giurisprudenza improntata sulla elasticità dei limiti legali di distanza tra farmacie, tanto più che qualcosa del genere, se vi ricordate, il CdS l’ha detta già a proposito della farmacia aggiuntiva nella stazione ferroviaria di Civitavecchia [v. Sediva News 29.12.2017: “Le ultime su Palazzo Spada ecc.”]?

E quindi dobbiamo veramente sospettare che i 200 o i 400 o i 1500 o i 3000 m. siano quattro limiti di distanza derogabili “ogni volta che la rigida applicazione della regola generale rischi di non garantire un accesso adeguato al servizio farmaceutico”?

Piuttosto però che dilungarci ancora su questo, vi invitiamo a leggere con attenzione l’intero §4 della sentenza, e forse avrete l’idea di come il giudice amministrativo possa sorprenderci in qualsiasi momento…

Va da sé però che, se ragioniamo come il Consiglio di Stato, ogni frazione può meritare una bella farmacia in soprannumero, con il solo limite (forse) di una per comune e con l’esclusione (forse) dei comuni con oltre 12.500 abitanti.

Eppure, soltanto due o tre anni fa la giurisprudenza sembrava ancora convinta che il Crescitalia – se non consideriamo le revisioni delle p.o. del 2012 e i successivi 21 concorsi, perché le une e gli altri “straordinari” – avesse recato con sé soltanto una sia pur importante riduzione del quorum e la riserva ai Comuni dei poteri di programmazione del servizio, lasciando quindi immutato l’impianto generale del sistema.

Ben diversamente, da un po’ di tempo il ns. massimo organo di giustizia amministrativa scrive ripetutamente di una fantomatica c.d. “liberalizzazione delle farmacie” introdotta appunto dall’art. 11 del Crescitalia, che avrebbe inteso coniugare la finalità di razionalizzare la rete distributiva dei farmaci – garantendo l’equa distribuzione nel territorio delle farmacie e, in tal modo, una migliore accessibilità del servizio – con quella di dare attuazione ai principi costituzionali e comunitari di libertà di iniziativa economica e di favore per lo sviluppo della concorrenza, rimuovendo le restrizioni all’ingresso di nuovi operatori sul mercato.

E se è proprio questo il nebuloso quadro giuridico nel quale le farmacie possono essere costrette ben presto a operare, è chiaro che anche i 3000 m. dell’art. 104 possa finire per perdere buona parte del loro rigore; l’ipotesi di una farmacia sotto casa rischia quindi di non essere più soltanto un’iperbole, senza contare che nel frattempo l’utilizzo del criterio topografico può tornare ad essere quel pomo della discordia che per parecchi decenni ha indaffarato i giudici amministrativi.

Infine, chi avesse interesse a rovistare nel passato dell’art. 104 può consultare 3 Sediva News, tutte attinenti al tema fin qui trattato: la prima – del 15.06.2010 – è sulle Asturie [Corte di giustizia europea, 1/6/2010 n. C-570/07 C-571/07], la seconda – del 24.04.2008 – è sulla legittimità costituzionale dell’art. 104 [Corte Costituzionale n. 76 del 28/03/08] e la terza – dell’8.5.2008 – è sulla stravagante ordinanza del CdS di rimessione alla Corte Europea [Consiglio di Stato n. 1664 del 14/04/2008].

(gustavo bacigalupo)

 

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