Ho letto che è da poco scaduto il famoso e interminabile blocco dei licenziamenti. Posso licenziare il mio magazziniere con cui ormai i rapporti sono irrecuperabili? Occorrono motivazioni particolari?

Alla data del 30 giugno scorso è dunque cessato in via generale il blocco dei licenziamenti introdotto la prima volta dall’art. 46 del Cura Italia e via via prorogato appunto fino al 30 giugno, anche se – sorvolando su alcune eccezioni riguardanti vicende particolari – nelle industrie tessili, di abbigliamento e di pelletteria il “blocco” è stato prorogato al 31 ottobre p.v.

Vale la pena precisare che dal “blocco” sono rimasti sempre esclusi i licenziamenti relativi ai lavoratori domestici, quelli per giusta causa e giustificato motivo soggettivo e anche i licenziamenti dovuti a cessazione definitiva dell’attività di impresa, a ipotesi previste da accordi aziendali, al fallimento dell’azienda, al superamento del periodo di comporto e infine i licenziamenti intervenuti all’interno del periodo di prova.

Per scendere ora concretamente nel caso proposto, è opportuno ricostruire brevemente la disciplina del licenziamento individuale, cui Lei vorrebbe ricorrere nei confronti del magazziniere.

  • Licenziamento per giusta causa

Questa figura consente all’azienda di recedere con effetto immediato da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e anticipatamente nel caso di rapporto di lavoro a tempo determinato; per giusta causa si intende un comportamento del lavoratore talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro anche solo provvisoria, come ad esempio l’appropriazione di denaro aziendale [qualche farmacia ha dovuto purtroppo registrare fatti del genere…], la distruzione o il danneggiamento o il furto di beni aziendali, e così via.

  • Licenziamento per giustificato motivo soggettivo

È caratterizzato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, seppur non così grave da rendere impossibile la prosecuzione provvisoria del rapporto lavorativo [come invece è – lo abbiamo appena visto – nell’ipotesi di giusta causa] e il datore di lavoro dovrà pertanto concedere il preavviso: si pensi, ad esempio, allo scarso rendimento, al rifiuto ingiustificato alla prestazione lavorativa, all’utilizzo improprio di beni aziendali, ecc.

N.B. – Ambedue i licenziamenti appena descritti devono seguire a un procedimento disciplinare.

  • Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Può essere intimato per vicende o eventi che – incidendo sulla realtà aziendale ove il lavoratore è inserito – generano nel datore di lavoro l’effettiva esigenza di porre fine al rapporto.
Le condizioni necessarie per poter legittimamente licenziare un lavoratore per giustificato motivo oggettivo sono:

    • la situazione economica negativa dell’azienda
    • l’effettività del riassetto organizzativo
    • il nesso causale con la posizione ricoperta dal lavoratore
    • l’impossibilità di ricollocare il lavoratore ad altre mansioni

N.B. – In alcuni casi, peraltro, è il contratto collettivo e/o il contratto individuale che tipizzano il giustificato motivo oggettivo.

  • Licenziamento ad nutum (libera recedibilità)

Configura evidentemente una risoluzione del rapporto di lavoro senza indicazione di uno o più motivi, ed è consentito ricorrervi:

    • senza preavviso, durante il periodo di prova;
    • con preavviso, al termine di un periodo di apprendistato, nel lavoro domestico, nei rapporti con atleti professionisti e quando il lavoratore ha maturato i requisiti di vecchiaia.

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– Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento –

Non di rado, infatti, il licenziamento – intimato in una delle quattro ipotesi sopra indicate – è oggetto di impugnativa da parte del dipendente; in caso di accoglimento del ricorso, le conseguenze per il datore di lavoro variano secondo quanto di seguito specificato.

    • Se il dipendente illegittimamente licenziato è stato assunto prima del 7.3.2015

Trattandosi di una piccola azienda (cioè con meno di 16 dipendenti e quindi nella categoria rientrano quasi tutte le farmacie), in caso di licenziamento [ritenuto dal giudice] illegittimo l’azienda può scegliere tra la riassunzione e la corresponsione di un’indennità risarcitoria compresa tra 2,5 e 6 mensilità, calcolata sull’ultima retribuzione di fatto.

Per i dipendenti delle grandi aziende (più di 15), invece, il datore di lavoro è condannato alla reintegrazione del dipendente [il quale potrà però scegliere anche di non rientrare in azienda optando per un’indennità sostitutiva] e al pagamento di un’indennità risarcitoria [e relativi contributi previdenziali e assistenziali] commisurata anche qui all’ultima retribuzione e calcolata dal giorno del licenziamento fino a quello di effettiva reintegra.

    • Se il dipendente illegittimamente licenziato è stato assunto dal 7.3.2015

Il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro a un’indennità risarcitoria che – nel caso di piccola azienda – varia da 3 a 6 mensilità dell’ultima retribuzione e – nel caso di grande azienda – da 6 a 36 mensilità.

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Naturalmente, come del resto è noto, la materia lavoristica – e giuslavoristica in particolare – resta complessa anche dopo i tanto vituperati jobs act renziani [peraltro tuttora in discussione], e ancor più delicato è il tema specifico del licenziamento individuale, se non altro per i dubbi eterni che gravano sulla figura di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo.

Quindi, il licenziamento è una questione che va affrontata sempre con grande cautela.

(aldo montini)                        

 

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