Mio padre, titolare di farmacia, è stato condannato in primo grado due o tre anni fa per una vicenda – mai chiarita fino in fondo – avente ad oggetto la consegna al SSN di diverse ricette per ottenere il rimborso. Il processo penale, protrattosi a lungo, è attualmente ancora pendente in Cassazione e, nel timore di una condanna definitiva, vorremmo costituire una società.
Possono esserci ostacoli?

La vicenda, qui comunque già altre volte esaminata, è stata regolata dall’art. 1, comma 811, della l. 296/206 (Finanziaria 2007), che prevede testualmente che “Qualora il farmacista titolare di farmacia privata o direttore di una farmacia gestita da una società di farmacisti ai sensi del l’articolo 7 della legge 8 novembre 1991, n. 352, e successive modificazioni, sia condannato con sentenza passata in giudicato, per il reato di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale, l’autorità competente può dichiarare la decadenza dall’autorizzazione all’esercizio della farmacia, anche in mancanza delle condizioni previste dall’articolo 113, primo comma, lettera e), del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265. La decadenza è comunque dichiarata quando la sentenza abbia accertato un danno superiore a 50.000 euro, anche nell’ipotesi di mancata costituzione in giudizio della parte civile. L’autorizzazione sanitaria all’esercizio della farmacia, in caso di condanna con sentenza di primo grado per i fatti disciplinati dal presente comma, non può essere trasferita per atto tra vivi fino alla conclusione del procedimento penale a seguito di sentenza definitiva”.

L’ultimo periodo, evidenziato in neretto, è stato aggiunto dall’art. 11-bis della l. 189 dell’8/11/2012 (di conversione del dl. 158/2012), in vigore dall’11/11/2012.

Come si rileva agevolmente dal testo normativo, le prescrizioni riguardanti la condanna del farmacista per truffa al SSN sono in questo momento tre.

La prima prevede che (“Qualora il farmacista” ecc.) l’“autorità competente può dichiarare la decadenza” (dalla titolarità) del farmacista “condannato con sentenza passata in giudicato” per il reato ivi indicato, anche in mancanza delle condizioni previste dall’art. 113 lett. e), TU n. 1265/1934 (“constatata, reiterata o abituale negligenza e irregolarità nell’esercizio della farmacia ecc.”),

Anche qui però [come nel caso di procedimento avviato ai sensi dell’art. 113] la decadenza non è una conseguenza che deriva di diritto dalla sentenza di condanna “passata in giudicato”, ma deve discendere – “può”, precisa infatti la disposizione – da un provvedimento amministrativo, caratterizzato perciò da un qualche margine di discrezionalità, a meno che [e qui il legislatore introduce la seconda prescrizione – “La decadenza è comunque dichiarata” ecc.] non sia stato “accertato un danno superiore a 50.000 euro”, nel qual caso la decadenza è invece un atto vincolato anche nell’an.

Ben diversamente, la terza prescrizione (“L’autorizzazione sanitaria” ecc.) – inserita in coda all’originario art. 1, comma 811 della l. 296/206 – introduce una misura di interdizione provvisoria alla trasferibilità della farmacia derivante ope legis dalla condanna in primo grado quale sua conseguenza ulteriore, ed anzi era stata in precedenza proposta al riguardo una misura anche più punitiva, destinata a operare addirittura “in pendenza di un (mero) procedimento penale nei confronti del titolare o dei suoi collaboratori”.

L’interdizione, volendo impedire al farmacista, “fino alla conclusione del procedimento penale a seguito della sentenza definitiva”, di sottrarsi alla dichiarazione di decadenza dalla titolarità della farmacia, liberandosi di quest’ultima, pone dunque l’esercizio “medio temporefuori commercio rendendo così radicalmente nullo qualsiasi negozio di cessione “per atto tra vivi” (compresi quelli a titolo gratuito e naturalmente anche atti di conferimento dell’esercizio in società).

Venendo allora al quesito, qui parrebbe francamente non contestabile l’applicabilità di questa misura interdittiva e perciò in questo caso anche l’ipotizzato conferimento della farmacia in una società di personeproprio perché anch’esso configurerebbe civilisticamente una cessione dell’esercizio – non sembra possa ritenersi consentito.

La sola strada concretamente e realisticamente qui percorribile dovrebbe essere pertanto – perlomeno alla luce degli elementi che Lei fornisce – quella di attendere gli esiti del giudizio in Cassazione, nonostante non appaia probabile che la Suprema Corte possa entrare nel merito della vicenda [pur Lei giudicandola “mai chiarita fino in fondo”].

(cecilia v. sposato)

(gustavo bacigalupo)

 

 

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