L’ordinanza della Suprema Corte n. 27665 del 7 ottobre 2020 sancisce l’importante principio sintetizzato nel titolo.

Tenendo presente che le donazioni c.d. indirette sono le liberalità operate senza ricorrere allo schema tipico della donazione previsto ex art. 769 cod. civ. [e che prima o poi – anche se non sempre consapevolmente – tutti noi effettuiamo…], la Cassazione ha deciso con quel provvedimento una vicenda, affiorata a seguito di una verifica dell’Agenzia delle Entrate, che ha visto una “moglie” bonificare 12 milioni di Euro su un conto intestato a una società fiduciaria riconducibile al “marito” che a propria volta aveva utilizzato il denaro per finanziare un’altra società da lui partecipata.

L’AdE ha sostenuto in particolare che il bonifico doveva considerarsi proprio come una donazione indiretta, assoggettabile quindi al regime tributario previsto dall’art. 56 bis del D.Lgs. 346/90, secondo cui l’accertamento delle liberalità diverse dalle donazioni (dirette) può essere effettuato in presenza delle seguenti condizioni: “a) quando l’esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi; b) quando le liberalità abbiano determinato, da sole o unitamente a quelle già effettuate nei confronti del medesimo beneficiario, un incremento patrimoniale superiore all’importo di 350 milioni di lire”.

Dunque, i giudici di legittimità, condividendo anche le pronunce delle Commissioni Tributarie di merito, hanno ritenuto sussistente la condizione  di cui sub b), in quanto il bonifico ha determinato un incremento patrimoniale a favore di un soggetto [nella specie il “marito”] e perciò, appunto, una donazione indiretta.

Non importa inoltre che quel denaro sia transitato nel conto della società fiduciaria per 24 ore per considerare sottratto il bonifico alla sua qualificazione come liberalità indiretta, perché nel concreto da una parte c’è stato il depauperamento di un soggetto [la “moglie”, donante] e dall’altra l’arricchimento di un altro [il “marito”, donatario].

Di conseguenza è stato ritenuto applicabile dalla Suprema Corte anche il secondo comma del citato art. 56 bis, ai sensi del quale a queste liberalità “si applica l’aliquota del sette per cento [ndr. la CTR competente, invece, aveva ritenuto applicabile l’aliquota dell’8% per mantenere una funzione “latamente sanzionatoria”(?)], da calcolare sulla parte dell’incremento patrimoniale che supera l’importo di 350 milioni di lire”.

Si tratta certo di una pronuncia molto rilevante perché operazioni del genere [magari di importo/valore minore…] vengono abbastanza frequentemente – come accennato all’inizio – realizzate tra coniugi, ma anche tra parenti o estranei, con le conseguenze appena descritte e generalmente non preventivate dagli interessati.

Per la cronaca, si tratta di operazioni che dovrebbero in principio essere registrate volontariamente così da poter usufruire delle aliquote e delle franchigie oggi vigenti, come il 4% tra coniugi e tra parenti in linea retta [con la franchigia di 1 milione di Euro], il 6% tra fratelli [con una franchigia di 100mila Euro] e dell’8% in ogni altro caso.

                                                                        (matteo lucidi)

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