Siamo di fronte a una situazione in cui il socio al 50% di una farmacia si trova ad essere direttore di una parafarmacia in altro Comune.
Non ricordo che ci sia una norma che consente questa situazione.
Chiedo al Vostro autorevole Studio se vi sono riferimenti normativi al riguardo.

Come anche Lei giustamente rileva, non c’è una disposizione legislativa [statale o regionale] o regolamentare o provvedimentale che disciplini astrattamente – dettandone  cioè puntualmente i princìpi regolatori – la vicenda che pone il quesito e che dunque preveda in termini non equivoci la compatibilità o l’incompatibilità tra lo status di socio e l’assunzione/svolgimento dell’incarico di “farmacista responsabile” di una parafarmacia [che notoriamente è e deve restare del tutto estranea sia all’oggetto che all’attività di una società titolare di farmacia].
Diventa perciò  necessario verificare se sia o meno configurabile una violazione:
A – dell’art. 8, comma 1, lett. b) della l. 362/91, che sancisce a carico di un farmacista che partecipa a una società [non importa se di persone o di capitali] titolare di farmacia l’incompatibilità di tale suo status con la “posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia” [ma giova subito ricordare che per “altra farmacia” deve intendersi un esercizio di cui sia titolare una società cui non partecipi la persona in questione e quindi, per esemplificare, se io partecipo a 10 società, di persone o di capitali, titolari di altrettante farmacie, potrò prestare attività lavorativa – anche quella, beninteso, di farmacista – in tutte e 10 le farmacie sociali pur potendo assumere la direzione responsabile soltanto di una di esse];
ovvero,  più verosimilmente
B – della lett. c) dello stesso comma 1, che ne contempla invece l’incompatibilità “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”.
Ora, se in una farmacia è figura tipica e necessaria proprio il direttore responsabile [che come noto, quando la titolarità sia individuale, è il titolare stesso], in una parafarmacia il ruolo, sia pure soltanto per certi profili, è svolto dal “farmacista che (vi) esplica l’attività professionale”, oppure – se nella parafarmacia/esercizio di vicinato o nella parafarmacia/corner operano “più farmacisti” – dal “farmacista responsabile” individuato dal “titolare dell’esercizio commerciale” e reso “identificabile dall’utente”.
Riportata quasi integralmente, è questa la disciplina che si trae dal comma 1 bis e comma 1 ter dell’art. 108 del Codice comunitario dei farmaci [aggiunti all’originario comma 1 dal comma 20 dell’art. 2, D.Lgs. 29 dicembre 2007, n. 274], i quali attribuiscono espressamente all’unico farmacista addetto all’esercizio o al corner – o al “farmacista responsabile”, come appena ricordato – la responsabilità “della gestione del reparto e dell’attività di vendita al pubblico dei medicinali” nonché “del connesso stoccaggio dei medicinali nel magazzino annesso, funzionale all’esercizio commerciale”.
Pertanto, quantomeno su questi specifici versanti della gestione della parafarmacia, il “farmacista responsabile” può essere chiamato a rispondere sui vari aspetti ragionevolmente configurabili: civilistico (per eventuali danni a terzi e/o alla parafarmacia), penale, deontologico (cioè in sede ordinistica) e disciplinare (nei confronti dell’ipotetico datore di lavoro) e un’eventuale dichiarazione, preventiva o successiva, di “manleva” del legale rappresentante della parafarmacia [se naturalmente diverso dal “farmacista responsabile”] potrebbe sottrarlo solo alla responsabilità sul piano disciplinare e probabilmente anche – al ricorso di altre condizioni – su quello civilistico, ma non certo sottrarlo alle conseguenze in caso, poniamo, di detenzione per il commercio di medicinali scaduti, guasti o imperfetti in cui [specie dopo la Lorenzin] si può incorrere anche, come sappiamo, in presenza di semplici farmaci scaduti.
Ma per tornare al cuore della questione, possiamo escludere senza grandi perplessità l’applicabilità in questo caso delle ipotesi di incompatibilità indicate sopra sub A: la parafarmacia non è sicuramente una farmacia e qui non c’è spazio per una qualsiasi interpretazione estensiva.
Resta allora da controllare se il nostro socio farmacista, assumendo/svolgendo l’incarico di responsabile di una parafarmacia, incappi nelle incompatibilità indicate sub B, quel che però tenderemmo a escludere, salva l’eventualità che l’incarico sia svolto proprio nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato perché in tal caso il dettato letterale non lascerebbe già di per sé spiragli di uscita.
È vero che la Commissione Speciale del Consiglio di Stato ha ritenuto estensibile questa figura di incompatibilità al di là dei confini del lavoro dipendente, e particolarmente – come si è osservato più volte – anche alle attività di lavoro autonomo laddove queste siano esercitate con continuità e [soprattutto, ci pare] con carattere di prevalenza rispetto alle altre attività lavorative, specie quelle professionali, del farmacista‑socio.
Dobbiamo però considerare che – nonostante le attribuzioni e le responsabilità di indubbio rilievo sul piano formale che, come si coglie dalle disposizioni riportate poco fa, sono ascrivibili al ruolo di farmacista responsabile della parafarmacia – le prestazioni strettamente inerenti all’incarico, non implicando una presenza continuativa,  ne rendono lo svolgimento in linea generale compatibile con l’espletamento dell’attività professionale nella farmacia sociale, ed è esattamente tale compatibilità – attenzione – che il parere del Consiglio di Stato del 03.01.2018 ha voluto preservare quando ha esteso l’ambito applicativo dell’incompatibilità sub c) del comma 1, art. 8 anche al lavoro autonomo dettandone però i limiti e le condizioni di cui si è appena detto.
Del resto, senza voler peccare di superficialità o eccessiva disinvoltura, come al titolare individuale non è più imposta “la gestione diretta e personale dell’esercizio e dei beni patrimoniali della farmacia” [come prevedeva il vecchio testo del primo comma dell’art. 11 della l. 475/68] perché ben diversamente il nuovo testo [dettato dall’art. 11 della l. 362/91] gli ascrive molto più tenuemente “la responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei beni patrimoniali della farmacia”, allo stesso modo il riferito mini quadro normativo sulla figura del “farmacista responsabile” di parafarmacia gli richiede soltanto di organizzare adeguatamente la gestione e l’attività di vendita dei medicinali, dunque la cura dei profili più altamente pubblicistici dell’attività e non ultimo, è chiaro, quello della costante presenza nella parafarmacia di un farmacista che garantisca la prescritta “assistenza personale e diretta al cliente”.
Certo, può ben darsi che nel concreto l’ASL –e forse anche quella in cui Lei opera – pretenda che il nostro socio farmacista responsabile di una parafarmacia non assuma anche la direzione responsabile della farmacia di cui è titolare la società da lui partecipata, non ritenendo cumulabili tra loro le due “direzioni” [anche se, come si sarà rilevato, il farmacista responsabile della parafarmacia è soprattutto il soggetto referente nei rapporti con la P.A.], ma al di là di questo peculiare possibile impedimento quel socio non dovrebbe incontrare altri grandi ostacoli nella conservazione dello status e nel contemporaneo svolgimento dell’incarico nella parafarmacia.
Non ci sembra d’altra parte che le Asl abbiano mai davvero ecceduto in atti e/o comportamenti ispirati al puro formalismo, men che meno nei casi di compatibilità/incompatibilità, per così dire, “borderline” come questo.
Si tenga conto per di più che la decisione della Corte Costituzionale n. 11 del 5 febbraio u.s., di straordinaria importanza [v. Sediva News del 6.2.2020: “La scure della corte costituzionale sulla vexata quaestio dell’incompatibilità con “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”…], è destinata – pur essendo una sentenza interpretativa di rigetto e come tale non efficace erga omnes – a produrre effetti pratici che possono andare anche al di là del suo semplice dispositivo e inoltre anche fattispecie più o meno coniugabili con quella di cui ci siamo qui occupati potranno forse essere viste dalla stessa pubblica amministrazione con sguardi più fortemente proconcorrenziali.
Ma non si dimentichi, e si tenga invece ben presente, che su queste vicende il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non ha ancora preso posizione con sentenze di merito: anzi, dobbiamo correggere quel che erroneamente abbiamo riferito [nella citata Sediva News di quale giorno fa] circa la “farmacista professoressa universitaria che è stata da ultimo e definitivamente fermata anche dal Consiglio di Stato”.
Infatti, il CdS quel ricorso in realtà non lo ha ancora deciso, ma ha soltanto sospeso l’efficacia della sentenza del TAR Lazio che aveva rigettato l’impugnativa contro l’annullamento d’ufficio, disposto da Roma Capitale, dell’autorizzazione rilasciata [“pro quota”] a favore di alcuni covincitori di una sede nel concorso straordinario laziale a ragione dell’incompatibilità prevista sub c) del comma 1 dell’art. 8 della l. 362/91 [ma anche per la violazione dell’art. 13 della l. 475/68] rilevata a carico della “professoressa universitaria” facente parte della compagine assegnataria, pur avendo quest’ultima assunto la veste di socio accomandante nella sas tra loro costituita.
Come detto, la sentenza di rigetto del TAR è stata sospesa e la farmacia è ancora oggi aperta e funzionante e in ogni caso la vicenda è tutt’altro che definita, dato che l’udienza di discussione del merito dell’appello non sembra sia stata ancora fissata.
Quel che ci preme però mettere in evidenza è che, nell’accogliere l’istanza cautelare, l’ordinanza del CdS [n. 2990/2019] sottolinea le complessità della questione di interpretazione del profilo di incompatibilità riguardante “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato” e quindi non si può escludere che possa infine accogliere il ricorso scegliendo così di allinearsi alle conclusioni della Corte.
Senonchè, proprio perché siamo in presenza di una sentenza interpretativa di rigetto, al Consiglio di Stato il sistema permetterebbe anche reazioni di segno contrario, tanto più che la tesi della Consulta è un’inequivocabile sconfessione di uno dei puntuali assunti della Commissione Speciale, e sappiamo come possono andare le cose quando si incontrano/scontrano… “Poteri Forti”.
Resterebbe comunque – quando si è necessario giudicare il primo triennio di vita di una società costituita tra vincitori in forma associata cui il provvedimento di autorizzazione sia stato rilasciato “pro quota” [quel che d’altronde ha purtroppo legittimato recentemente l’Adunanza Plenaria…] – il problema del citato art. 13 della l. 475/68, che formalmente non sembra semplicissimo da risolvere.
Ma questo è un altro discorso, almeno per oggi.

(gustavo bacigalupo)

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