Ce ne siamo occupati più volte ma in questa circostanza le novità arrivano direttamente dalla Grand Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), perché è stata depositata lo scorso 17 ottobre un’importante decisione proprio in ordine alla videosorveglianza sul posto di lavoro.
La vicenda (spagnola) ha riguardato la condotta del direttore di un supermercato che, insospettitosi per aver rilevato mancanze in magazzino per circa 82.000 Euro, aveva fatto installare senza alcuna preventiva autorizzazione sindacale o di una qualunque pubblica autorità alcune telecamere, sia visibili che nascoste, proprio evidentemente allo scopo di sorvegliare l’area “incriminata”.
Dalle riprese si è evinto che venivano sottratte illecitamente merci dal magazzino da parte di alcuni dipendenti, che sono stati poi licenziati con provvedimento ritenuto legittimo dal tribunale spagnolo.
Alcuni di loro hanno tuttavia proposto ricorso alla CEDU, eccependo che avrebbero dovuto preventivamente ricevere comunicazioni sulla presenza in magazzino delle telecamere di sicurezza installate, lamentando in sostanza la violazione della loro privacy.
Sorprendentemente, soprattutto per gli ormai ex-dipendenti del supermercato, la Corte di Strasburgo ha confermato la decisione della magistratura spagnola, per aver effettuato un corretto bilanciamento tra i diritti dei lavoratori sospettati di furto e i diritti del datore di lavoro che ha subito il danno (la dignità e la privacy da un lato, e l’iniziativa economica dall’altro), e per aver considerato “proporzionale” l’attività di controllo.
Sotto quest’ultimo aspetto, i giudici europei hanno ritenuto che l’intrusione nella privacy è stata di natura “lieve”, dato che la sorveglianza del magazzino con le telecamere installate all’insaputa dei dipendenti si è rivelata di breve durata e circoscritta a un’area ristretta del deposito [al contrario, ove si fosse trattato ad esempio dello spogliatoio, la privacy sarebbe stata di grado “elevato”].
Come si vede la Corte Europea ha individuato veri e propri “livelli” di garanzia della privacy del lavoratore.
È una decisione che costituisce una significativa eccezione nel panorama di un istituto giuridico “delicato” [e talora francamente un po’ enfatizzato…] come quello della privacy, ma è necessario capire quale sarà l’impatto nel nostro ordinamento della pronuncia dei giudici di Strasburgo.
Al momento, comunque, non si può parlare evidentemente di un’efficacia immediata e/o diretta sul nostro territorio della sentenza CEDU, e però – laddove un giudice italiano si trovi a dover esaminare una vicenda analoga a quella spagnola e a rilevare un eventuale contrasto tra la normativa italiana e il principio sancito dalla pronuncia europea – potrebbe rimettere gli atti alla Consulta per il necessario vaglio di costituzionalità della nostra normativa, che per l’installazione di telecamere contempla invece, come sappiamo tutti, il preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Personalmente riterremmo condivisibile l’assunto dei giudici europei, specie con riguardo alla necessità di non fare “di tutte le erbe un fascio” contrastando in principio qualsiasi misura anche astrattamente in violazione della privacy, ma di distinguere – magari graduandole secondo la singolarità del caso concreto – una fattispecie dall’altra.
Nel nostro ordinamento, peraltro in materia molto recente, le cose sono in ogni caso regolate in questo momento in termini sicuramente rigidi e quindi ben poco “elastici”.

(matteo lucidi)

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