Devo ammettere che avrei voluto sottoporvi questo argomento già da tempo.
Era parecchio infatti che desideravo conoscere la vostra opinione sul seguente argomento anche perché fino ad ora in verità di risposte soddisfacenti non sono riuscito ad averne. Dunque, la legge 122/2010, relativamente ai medicinali di classe A, indica che le quote di spettanza di ciascun operatore della filiera del farmaco “sono rideterminate nella misura del 3 per cento per i grossisti e del 30,35 per cento per i farmacisti che deve intendersi come quota minima a questi spettante“.
Ora è corretta l’interpretazione – di fatto diffusa ed attuata – che, nonostante la fissazione di una quota “minima”, nei rapporti commerciali produttori/ grossisti/farmacie si possano in realtà applicare sconti maggiori delle richiamate percentuali con il rispetto della sola quota minima della farmacia?
In altri termini, il margine dell’industria e dei grossisti è derogabile per i medicinali di classe A o deve intendersi anch’esso, al pari di quello della farmacia, come “quota minima”?

Le percentuali determinate dall’art. 11, comma 6, del D.L. 31/05/2010 n. 78, convertito con modificazioni, nella L. 30/07/2010 n. 122 devono intendersi come quote liberamente derogabili per effetto della libera contrattazione tra gli attori della filiera, con l’unica eccezione delle farmacie, per le quali la rispettiva quota fissata al 30,35% dalla disposizione appena citata “deve intendersi come quota minima a questi spettante”.
A tale conclusione spinge in primo luogo l’interpretazione letterale della citata disposizione che – dopo aver fatto uso della forma plurale per delineare la fattispecie [le quote di spettanza dei grossisti e dei farmacisti sul prezzo di vendita al pubblico delle specialità medicinali di classe A […], previste nella misura rispettivamente del 6,65 per cento e del 26,7 per cento […] sono rideterminate nella misura del 3 per cento per i grossisti e del 30,35 per cento per i farmacisti”] e volto alla forma invece singolare nell’ultimo inciso [“deve intendersi come quota minima a questi spettante”] – sembra senz’altro riferirne il contenuto [la “quota”, per l’appunto da intendersi come “minima”] ad una soltanto delle categorie evocate e precisamente, dato l’uso di “questi”, all’ultima di esse che viene citata e quindi alla categoria dei farmacisti.
Questa interpretazione è del resto confermata anche dalla comunicazione del Garante per la concorrenza ed il mercato [AS523 – “Sistema di remunerazione della distribuzione di farmaci erogati a carico del Servizio sanitario locale” – Bollettino n. 18 del 25/05/2009].
Nel documento – che vuole peraltro esprimere soprattutto la preoccupazione dell’Authority per l’inadeguatezza del sistema di remunerazione della distribuzione dei farmaci erogati a carico del SSN, al fine di un effettivo incremento dell’impiego dei farmaci generici, nel perseguimento dell’obiettivo del miglioramento della spesa sanitaria pubblica e privata – il Garante afferma infatti testualmente che “[u]n elemento di ulteriore problematicità nel funzionamento dell’attuale normativa volta a regolare la remunerazione della componente distributiva del settore risiede nel carattere sostanzialmente non vincolante delle percentuali di margine fissate, che vengono di fatto utilizzate solo quale valore di riferimento minimo nella contrattazione tra le parti. La definizione delle c.d. “quote di spettanza”, infatti, è stata introdotta con l’obiettivo di regolare, per i farmaci rimborsati dal SSN, il criterio di formazione del prezzo al pubblico, il quale viene definito, come si è visto, considerando fisse tali percentuali, e contrattando invece con i produttori il prezzo ex fabrica. Risulta invece dubbia l’idoneità della norma a incidere sui rapporti privatistici tra i soggetti attivi ai diversi stadi della filiera, imponendo, negli scambi effettivi che si realizzano tra gli operatori, la concreta applicazione del livello di sconto fissato. Ne consegue che, una volta assolta la propria funzione di punto di riferimento teorico per la definizione del prezzo finale, le percentuali di margine previste dalla legge non vengono necessariamente rispettate nei rapporti di scambio intercorrenti tra produttori e distributori, i quali negoziano i propri guadagni, e quindi la percentuale di sconto attribuita al distributore, in funzione del proprio potere contrattuale”.
Ma sul punto sembra proprio fugare ogni dubbio la sent. n. 295 del 13/11/2009 della Corte Costituzionale che – nell’esaminare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 della L.R. Puglia 02/07/2008 n. 19 [“…impugnato per asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), della Costituzione”], che poneva un divieto di modifica delle quote addirittura sanzionato penalmente con una assimilazione della contravvenzione al divieto al reato di “comparaggio” e concludendo infine per la fondatezza dell’eccezione – esprime in termini certo non equivoci l’assenza di ogni divieto di derogabilità delle quote in argomento.
“Determinando un effetto distorsivo nel settore della distribuzione dei farmaci – precisa la Corte – il divieto di modificare le quote di spettanza sul prezzo dei farmaci di fascia “A” lederebbe la competenza esclusiva del legislatore statale in tema di «tutela della concorrenza». Il contestato divieto, incidendo sull’autonomia contrattuale dei privati, violerebbe anche la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile»; al tempo stesso, il denunciato art. 8, sanzionando penalmente l’inosservanza del suddetto divieto in forza dei richiamati artt. 170 e 172 del regio decreto n. 1265 del 1934 [il riferimento è sempre al reato di comparaggio], avrebbe invaso la materia dell’«ordinamento penale», di competenza esclusiva del legislatore statale.
E ancora:
Le quote di spettanza sono fissate direttamente dal legislatore nazionale. Una eventuale modifica delle stesse è implicitamente rimessa all’autonomia contrattuale dei soggetti del ciclo produttivo e distributivo attraverso convergenti manifestazioni di volontà [fatta sempre salva, beninteso, la quota dei farmacisti determinata come “minima spettante” dal citato D.L. 78/2010 emanato successivamente alla decisione della Consulta]. L’impugnata disposizione ha palesemente oltrepassato i confini che presidiano la competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile», avendo prescritto che «al di fuori degli accordi tra sistema sanitario regionale e sistema produttivo e distributivo dei farmaci» non sarebbe consentito «modificare, ancorché mediante intesa fra le parti, le quote di spettanza, previste per legge, alle componenti aziende, grossisti e farmacisti per l’erogazione di farmaci di fascia A». L’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione ha codificato il limite del «diritto privato» consolidatosi nella giurisprudenza anteriore alla riforma costituzionale del 2001 (v., tra le molte, le sentenze n. 190 del 2001; n. 379 del 1994; n. 35 del 1992; n. 51 del 1990; n. 691 del 1988; n. 38 del 1977; n. 108 del 1975 e n. 7 del 1956). Questa Corte ha più volte affermato che «l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti fra privati. Esso, quindi, identifica un’area riservata alla competenza esclusiva della legislazione statale e comprendente i rapporti tradizionalmente oggetto di codificazione» (sentenza n. 352 del 2001)”.
È una sentenza in definitiva molto pregevole per i tanti aspetti affrontati in profondità e sicuramente anche per le conclusioni rassegnate, che sono del tutto condivisibili e forse per Lei “finalmente” soddisfacenti, anche perché sostanzialmente conformi ai convincimenti espressi nel quesito e dunque, tanto per ribadirlo una volta di più:

– sono liberamente derogabili dalle parti, per lo più a seguito e/o per effetto di accordi commerciali, le quote di spettanza di industrie e grossisti;

– sono inderogabili – ovviamente verso il basso, perché minime – quelle riconosciute alle farmacie.

(stefano civitareale)

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