Sono titolare individuale di una farmacia che appartiene alla mia famiglia da quattro generazioni e che risale addirittura alla fine dell’800. Ma da qualche tempo abbiamo avuto diversi problemi di deterioramento all’interno dei locali (dovuti a umidità e quant’altro). Sono stato quindi costretto a chiedere al Comune il trasferimento della farmacia, ma l’unico locale idoneo che ho trovato (dopo numerose ricerche) si trova a 160 metri circa dalla farmacia più vicina, contro gli attuali 135. So che in particolari situazioni è consentito il trasferimento a una distanza anche inferiore a 200 metri ma vorrei se possibile maggiori informazioni aderenti al mio caso.
Vi chiedo inoltre se, qualora il Comune dovesse autorizzarmi come sembrerebbe, corro il rischio di ‘ritorsioni’ da parte del titolare della farmacia vicina.

E’ un tema sempre di grande rilevanza e attualità e che comunque abbiamo affrontato parecchie volte: v. per tutte Sediva News del 31 maggio 2022 [“Farmacie ubicate le une a ridosso delle altre”] e dell’8 aprile 2009 [“Il trasferimento della farmacia a meno di 200 metri”].
Ma è doveroso ancora un cenno su questo tema – soprattutto per quel che diremo tra un momento – richiamando una recente pronuncia del Tar Emilia-Romagna, n. 785 del 15 ottobre u.s., che ha deciso un ricorso presentato da un titolare di farmacia contro il provvedimento che aveva autorizzato il suo “vicino” a spostarsi all’interno della sede e però a una distanza inferiore [149 m.] a quella legale di 200 metri, anche se maggiore di quella precedente [121 m.].
La vicenda esaminata dai giudici emiliani riguardava in realtà una farmacia ubicata, come accennato, a una distanza già in precedenza inferiore ai 200 metri e ci pare che questo possa senz’altro – e a maggior ragione, considerate le “quattro generazioni” – essere anche il Suo caso, perché la Sua come forse anche altre farmacie della zona [e probabilmente si tratta del classico centro storico] è stata naturalmente istituita ancor prima della legge Giolitti del 1913, quando quindi l’individuazione del luogo di esercizio della farmacia era rimessa alla piena e insindacabile scelta del titolare.
I presupposti, che – secondo una giurisprudenza ormai consolidata [ne abbiamo parlato anche recentemente] – avrebbero potuto giustificare il rilascio di un’autorizzazione in deroga alla distanza legale, erano stati ritenuti entrambi nella fattispecie sussistenti: sia, cioè, la necessità inderogabile [per le sue condizioni fatiscenti e di “ammaloramento conseguente alla mancanza delle necessarie opere di manutenzione straordinaria da parte del terzo proprietario”, trattandosi evidentemente di un locale condotto in locazione dalla farmacia] di abbandonare il locale fino ad allora adibito all’esercizio dell’attività, e sia la dimostrata irreperibilità nella zona di altri locali idonei a una distanza inferiore a quella legale.
Qui merita di essere sottolineata una notazione “tra le righe” del Tar che non si coglie frequentemente e che del resto, a nostra memoria, non dovrebbe avere più di un paio di precedenti.
Ci riferiamo alla ritenuta [dal Tar] applicabilità di tali due presupposti – e dunque alla possibile legittimità del provvedimento di autorizzazione che ne sia derivato – anche quando la farmacia da trasferire sia/fosse collocata, antecedentemente al richiesto spostamento, a una distanza superiore ai 200 metri, come ha imposto la l. 475/68 a tutte le farmacie di nuova istituzione.
E’ vero che il Tar considera estensibile la detta disciplina anche a queste ipotesi soltanto in vicende molto particolari e in ogni caso con criteri di giudizio “restrittivi”, ma su un’apertura in questa direzione crediamo si debba convenire, tanto più se teniamo conto che in alcuni “centri storici” [soprattutto di comuni di ridotte dimensioni] la domanda di farmaci si riscontra molto più larga proprio nelle vie o piazze più antiche e ciò nondimeno ancor oggi le più frequentate dagli abitanti, residenti o “fluttuanti” che siano.
D’altra parte, come noto, il servizio farmaceutico deve essere potenziato soprattutto laddove sia più consistente e numeroso l’accesso/accessibilità della popolazione alle farmacie, che, non va mai dimenticato, è il fine primario della riforma dell’art. 11 del Crescitalia [con pianificazione c.d. verticale spesso prevalente su quella c.d. orizzontale].
Ma, tornando alla vicenda decisa dai giudici bolognesi, il Comune di Sassuolo ha quindi ritenuto ampiamente certificata/documentata la sussistenza di ambedue i presupposti, rilasciando pertanto il provvedimento richiesto.
Di qui il ricorso della “farmacia più vicina”, rigettato però dal Tar per le considerazioni diffusamente da noi riportate.
Deve dunque ritenersi in via generale – perciò, almeno in linea di massima, anche per le farmacie di più recente istituzione – che il requisito della distanza legale minima sia derogabile al ricorrere delle due già precisate condizioni minime [riguardanti il locale da lasciare e quello nuovo] che però, pur costituendo presupposti appunto irrinunciabili/indefettibili, devono sempre essere ‘bilanciati’ con l’interesse pubblico a una razionale organizzazione dell’assistenza farmaceutica sul territorio e a un efficiente equilibrio tra domanda [degli utenti] e offerta [da parte delle farmacie] di medicinali, con il miglior adeguamento possibile dell’una all’altra.
Per concludere, alla Sua domanda conclusiva crediamo di doverLa rassicurare, stando almeno a quel che Lei riferisce: il rischio per Lei di “ritorsioni” da parte del titolare della farmacia più vicina è senz’altro concreto, e d’altronde sappiamo bene quanto sia fitto il contenzioso tra farmacie e pubblica amministrazione, ma non meno fitto quello tra farmacie; e tuttavia, come detto, i presupposti di una certa Sua tranquillità sull’esito di un ipotetico ricorso del “vicino” ci sono tutti.

(cecilia v. sposato- gustavo bacigalupo)

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