Ci rivolgiamo a voi perché il vostro studio, tra i tanti temi che avete trattato sul Controllo di gestione, avete affrontato anche quello dell’utilizzo dei social media, WhatsApp compreso e, se ricordiamo bene, avete addirittura organizzato un corso di formazione sull’argomento.
Io e i miei colleghi, tutti dipendenti di una farmacia di società, abbiamo un gruppo WhatsApp che utilizziamo principalmente per la gestione dei turni.
Ma recentemente un mio collega mi ha offeso gravemente dandomi con male parole dell’inaffidabile e molto altro ancora, soprattutto perché, per motivi personali, non ho potuto fare una sostituzione che mi ero impegnato a fare.
Vorrei in qualche modo reagire a queste che sono state delle offese gratuite e per me insopportabili.

Ci pare, almeno in prima battuta che la cosa migliore – anche per non alterare in modo irrecuperabile gli equilibri in farmacia – sarebbe quella di provare a chiarire la Sua posizione con il collega, ma questo probabilmente è stato già da voi tentato senza successo [piuttosto, per quel poco che dice il quesito, le “offese” non sembrerebbero tanto gravi da scatenare reazioni addirittura sul piano penale…].
Qualora comunque una conciliazione risulti davvero impossibile, è bene sapere che la condotta tenuta dal Suo collega – alla luce della più recente giurisprudenza – potrebbe essere sufficiente a integrare la fattispecie di cui all’art. 595 del codice penale, ovvero il delitto di diffamazione.


N.B. Art. 595 c.p. “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.


Secondo la Suprema Corte, infatti, la diffusione di messaggi lesivi della reputazione attraverso una chat di gruppo può configurare il reato di diffamazione – e non l’illecito civile dell’ingiuria [tempo fa era un reato anche quest’ultima…] – in tutti i casi in cui la persona offesa partecipi, esattamente come quella offendente, in una stessa chat [Cass. penale, sez. V, sentenza 20 luglio 2022, n. 28675].
Dal quesito, in ogni caso, non siamo in grado – vogliamo ribadirlo – di cogliere in questa vicenda tutti i presupposti per querelare il Suo collega, quindi per la configurabilità di un reato, ma evidentemente potrebbero sussistere, se non altro, quelli per agire nei suoi confronti civilmente.

(cesare pizza)

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