[…risulta nel concreto inattivabile]
La sede che ci è stata assegnata ormai da un anno nel concorso straordinario è sempre stata, secondo quel che ci hanno riferito in zona, priva di locali da adibire a farmacia e le perizie, ripetute e con supplementi, di un geometra professionista lo hanno regolarmente attestato, anche se sappiamo che questo è accaduto anche in tante altre occasioni e in regioni diverse.
Al Comune abbiamo chiesto di accorpare alla nostra sede in cui risiedono 1.600 abitanti una modesta porzione territoriale sottraendola alla sede vicina perché lì abbiamo rinvenuto un locale idoneo che è ubicato ad appena 50 m. dal ns. confine: il funzionario comunale responsabile ci ha anticipato che la ns. domanda sarà certamente respinta perché altrimenti verrebbe ulteriormente danneggiata la sede confinante che, sono sempre le parole degli uffici, già sarebbe stata penalizzata dall’istituzione della sede assegnata a noi.
Tenete conto che della sede confinante alla nostra è titolare proprio il Comune e che attualmente nel suo territorio risiedono più di 6.000 abitanti.
Non vi sembra assurda questa situazione?
È veramente difficile non essere d’accordo sull’“assurdità” di un caso come questo, pure se – come sottolinea anche il quesito – ci è già stato dato da tempo di assistere a numerose vicende del genere e tutte più o meno hanno immancabilmente riguardato sedi neoistituite nel 2012 e dunque incluse nei concorsi straordinari.
È chiaro allora, dato che – se escludiamo quello campano – i concorsi volgono ormai verso l’ultimo interpello [laddove ancora si sia all’interno dei sei anni…] ed è facile pensare che delle pur numerose sedi ancora da assegnare, proprio perché si tratta di quelle ritenute per lo più non appetibilissime, qualcuna o più di qualcuna sia caratterizzata proprio dalla difficile reperibilità di locali idonei.
Qui, però, i numeri demografici [6000 contro 1600 abitanti!] e lo stato dei luoghi [“certificata” irreperibilità, nell’attuale configurazione della sede assegnatavi, di un qualsiasi locale da adibire all’esercizio della farmacia] sembrano rendere già di per sé illegittimo, e in termini perfino solari, il minacciatissimo rigetto della vs. istanza, che per giunta recherebbe con sé il rischio ‑ per la verità soprattutto teorico, vista la giurisprudenza formatasi al riguardo ‑ che voi incappiate nella decadenza dall’assegnazione per la mancata apertura dell’esercizio entro i prescritti sei mesi.
Anzi, se teniamo anche conto che titolare della sede che – tra le due in ballo – parrebbe straordinariamente avvantaggiata è proprio il Comune, diventa impossibile sottrarsi a un forte sospetto che il conflitto di interessi possa da par suo almeno in questa circostanza inquinare fortemente l’ipotetica malaccorta scelta comunale di negarvi la modifica della sede.
D’altronde in casi come questo – come si coglie con estrema facilità anche dalla massiccia giurisprudenza amministrativa di questi ultimi sette/otto anni – si tratta, diremmo “banalmente”, di rendere possibile l’apertura della farmacia in una zona/ambito di pertinenza in cui il Comune stesso [immaginiamo, proprio in sede di revisione straordinaria del 2012] ha ritenuto “per definizione” necessario irrobustire l’assistenza farmaceutica localizzandovi per l’appunto un esercizio di nuova istituzione.
È chiaro allora che l’amministrazione è oggi obbligata ‑ ed è un obbligo giuridico, beninteso – ad assumere ogni opportuna iniziativa anche provvedimentale [ad esempio, deliberazione giuntale di modifica della sede in argomento senza necessità che l’intervento rientri ineludibilmente in un generale provvedimento di revisione della p.o.] che consenta all’assegnatario della sede neo-istituita di poter concretamente, e in tempi brevi, porre in attività la farmacia e permettere così lo svolgimento del relativo servizio pubblico in favore della collettività [in particolare, ma ovviamente non in via esclusiva o riservata, dei residenti all’interno della fascia perimetrale di pertinenza della sede].
Vale la pena quindi richiamare una volta di più gli insegnamenti della Suprema Corte [Cass. SS.UU. 13/05/2019 n.12640] che hanno sul punto rilevato a chiare lettere come l’inerzia dell’amministrazione, oltre a pregiudicare la concreta soddisfazione di un pubblico interesse, può rivelarsi anche un fattore causale del danno subito dal farmacista assegnatario per la persistente mancata reperibilità di locali idonei all’apertura della farmacia conseguita al superamento positivo della procedura concorsuale.
Più esattamente, il principio desumibile dalle argomentazioni motive della Suprema Corte [alle quali, attenzione, si sono aggiunte recentemente ulteriori ma ancor più significative notazioni dell’Adunanza plenaria del CdS che sono andate addirittura oltre gli arresti della Cassazione] evidenzia che la colpevole inerzia comunale nell’adozione di adeguate misure – ascrivibili alle sue specifiche potestà amministrative nel settore, ovvero il “potenziamento del servizio di distribuzione farmaceutica ecc.” [come indica la stessa rubrica dell’art. 11 del Crescitalia] – va ricondotta nell’ambito della violazione dell’art. 2043 cod.civ., con la conseguente responsabilità per il risarcimento dei danni che ne siano derivati all’assegnatario della sede per la mancata o ritardata apertura al pubblico della farmacia, quando naturalmente si tratti di danni riconducibili appunto a ingiustificati comportamenti commissivi od omissivi dell’amministrazione comunale.
D’altra parte, nell’intero sistema farmacia l’attivazione dei nuovi esercizi – e soprattutto, per quel che interessa in questa vicenda, di quelli istituiti nel 2012 – è un’esigenza primaria e irrinunciabile, ma al tempo stesso anche indifferibile, che i Comuni devono pertanto darsi cura di soddisfare con la maggiore sollecitudine.
In tal senso è anche CdS n. 207/20 secondo cui il rispetto dell’art. 11 presuppone la concreta esistenza ed apertura di tutte le sedi necessarie, e non la sola previsione “sulla carta” per un tempo indeterminato di una di esse, perché in definitiva l’assistenza farmaceutica – che è ovviamente l’interesse pubblico che presiede all’esercizio delle potestà comunali – deve essere indubitabilmente effettiva e tempestiva e dunque, ha aggiunto il CdS, tale preminente interesse legittimo della collettività non può in qualche modo essere compresso o frustrato da “circostanze di natura eminentemente pratica (e per questo irrilevanti) costituite dall’assenza e/o dalla difficoltà di reperire locali idonei all’interno della fascia territoriale” relativa alla sede al momento per tali “circostanze” inattivabile.
La pianificazione farmaceutica, insomma, presuppone fatalmente – sembra a questo punto superfluo aggiungerlo – (anche) l’esistenza di locali idonei all’esercizio farmaceutico e, se così non è, l’amministrazione comunale deve intervenire immediatamente, adottando ogni opportuno correttivo.
Per concludere, come vedete, gli argomenti a vs. favore sembrano molto robusti e anzi, per dirla tutta, ci sorprende che nel 2022, al compimento del decimo anno dalla riforma, ci siano ancora Comuni inefficienti o arroganti [fate voi], al punto di sottrarsi a obblighi giuridici, perfino elementari, che la legge pone a loro carico.
È per questo che si può pensare che almeno nel vs. caso, sia pure in extremis, il Comune faccia la cosa giusta, non potendo d’altra parte credere neppure per un istante che l’amministrazione possa negarvi la modifica della sede “perché altrimenti verrebbe ulteriormente danneggiata la sede confinante che… già sarebbe stata penalizzata dall’istituzione della sede assegnata” a voi: sciocchezze come queste, infatti, non farebbero altro che il vostro gioco anche se con qualche ritardo.
(laura giordani – gustavo bacigalupo)
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