[…quando ha “agevolato” la carriera del coniuge]

 

Ancora una pronuncia della Cassazione [n. 29195 del 20 ottobre 2021] sul quantum dell’assegno divorzile, questa volta decidendo una fattispecie in cui il coniuge beneficiario, pur economicamente autosufficiente, aveva contribuito al miglior andamento della vita familiare e – di conseguenza, precisa in sostanza la Suprema Corte – anche alla realizzazione professionale dell’altro coniuge.

Quest’ultimo, cioè l’ex marito, aveva proposto gravame avverso la sentenza del giudice d’appello, affermando che – conformemente a quanto statuito dalle SS.UU (n. 18287/2018) – la funzione dell’assegno divorzile sia/fosse soltanto quella di garantire al coniuge beneficiario, in questo caso all’ex moglie, un’autosufficienza tale da permetterle di vivere con il giusto decoro.

Quindi, il ricorrente – deducendo in particolare che l’ex moglie, di professione insegnante, era sempre stata economicamente “indipendente” – aveva affermato non sussistere i presupposti legittimanti la corresponsione dell’assegno divorzile.

I giudici di legittimità respingono il ricorso ma forniscono una lettura delle pronunce della SS.UU., richiamate dal ricorrente, diversa da quella da lui assunta, chiarendo nello specifico che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo”.

Il che – secondo la Cassazione – induce a tener conto non solo del grado di autonomia economica raggiunto dal coniuge beneficiario dell’assegno, ma anche [e, nella specie, soprattutto] del contributo fornito da quest’ultimo alla realizzazione della vita familiare e pertanto anche al patrimonio personale dell’altro coniuge.

Valorizzando insomma il contributo apportato durante il matrimonio alla vita familiare e professionale del marito, la Suprema Corte riconosce la spettanza all’ex moglie dell’assegno, ponendo dunque in “secondo piano” la famosa “autosufficienza economica”.

(cecilia v. sposato)

 

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