[…quali i veri dubbi del Consiglio di Stato?]
L’interrogativo scaturisce dalla recentissima ordinanza del CdS n. 3771 del 9.7.2021 che – come potete voi stessi cogliere in una delle notazioni conclusive del provvedimento – ha ritenuto “che, sul piano del fumus boni iuris, la questione centrale del presente giudizio, afferente alla disciplina delle incompatibilità prevista dall’attuale art. 8 della l. n. 362 del 1991, debba essere oggetto di più attenta disamina nel merito, anche alla luce di quanto ha chiarito la Corte costituzionale nella recente sentenza n. 11 del 5 febbraio 2020”; su tale presupposto [e anche, dichiaratamente, per evitare il periculum insito nell’interruzione di un servizio pubblico, come quello della farmacia, in una zona per di più “non facilmente raggiungibile dalla popolazione”] il CdS sospende l’esecutività della decisione n. 106 del 9.2.2021 del Tar Marche.
Si tratta della sentenza [commentata nella Sediva News dell’11.02.2021: “Per il Tar Marche una casa di cura non può partecipare a una società titolare di farmacia…”] che ha annullato tutti gli atti presupposti e conseguenti all’aggiudicazione – all’esito di asta pubblica – a una srl interamente posseduta da una casa di cura di una farmacia comunale, comprensiva sia della titolarità e diritto d’esercizio che della connessa azienda commerciale.
In quella circostanza, ribadendo peraltro assunti in precedenza già da noi ben rimarcati, abbiamo commentato ampiamente la sentenza marchigiana condividendone pertanto molti passaggi e sottolineando a chiare lettere che, qualunque sia la veste e/o la misura della sua partecipazione [figuriamoci quando si tratti, come nella fattispecie, addirittura del socio unico], una casa di cura non può in principio partecipare a una società titolare di una farmacia, perché lo impedisce in limine la norma imperativa e quindi ineludibile di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 7 della l. 362/91 [“La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica”].
Sorprende allora parecchio la citata ordinanza del Consiglio di Stato sospensiva dell’esecutività di una sentenza che sembrava/sembra semplicemente ineccepibile; certo, questa del CdS non è una pronuncia di merito ma deve egualmente far riflettere l’affermazione circa la necessità – con riguardo alla questione centrale “afferente alla disciplina delle incompatibilità prevista dall’attuale art. 8 della l. n. 362 del 1991” [qui c’è però un errore perché la condizione di incompatibilità in argomento è in realtà, come abbiamo appena ricordato, quella riscritta dalla l. 124/2017 nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 7] – che essa “debba essere oggetto di più attenta disamina nel merito, anche alla luce di quanto ha chiarito la Corte costituzionale nella recente sentenza n. 11 del 5 febbraio 2020”.
Perché, infatti, una “più attenta disamina nel merito” di una questione – che pure parrebbe del tutto lineare e inequivoca, e quasi di scuola per la sua elementarità – come quella dell’impedimento assoluto per una clinica a partecipare a una società titolare di farmacie? E quale ruolo potrebbe almeno qui riconoscersi, nella preannunciata “più attenta disamina”, a una sentenza della Corte [quella n. 11 del 2020] strettamente relativa alla sola condizione di incompatibilità “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato” e quindi, per il suo dictum e per la sua stessa natura, inestensibile alle altre condizioni di incompatibilità?
Una cosa però è sicura: il problema molto serio che pone o rischia di porre l’ord. 3771/2021 del CdS è/dovrebbe essere di massimo interesse per le farmacie che – soprattutto dopo la legge sulla concorrenza n. 124/2017, dunque perlomeno da quattro anni – si interrogano/dovrebbero interrogarsi sulla migliore lettura delle condizioni di incompatibilità previste nel comma 2 dell’art. 7 e nel comma 1 dell’art. 8 della l. 362/91.
È chiaro infatti che partecipare a una società titolare di farmacia [di persone o di capitali, non fa differenza] senza conoscere gli esatti confini/ambiti applicativi di tali condizioni può ostacolare scelte professionali e/o imprenditoriali o indurre a operazioni giuridicamente e/o economicamente sbagliate.
Ora, quali siano queste condizioni dovrebbe essere noto anche ai più distratti ma non può far male rammentarle ancora una volta, specie se teniamo conto che generalmente l’attenzione di ognuno di noi alle cose che legge è relativa o molto relativa e questo nei fatti può rendere talora opportuno o necessario ripetersi.
Mettiamo perciò a confronto le disposizioni che ci interessano sia nel testo ante che nel testo post l. 124/2017.
Art. 7 legge 362/91 |
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ante l. 124/2017 |
Comma 2. Le società di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. Sono soci della società farmacisti iscritti all’albo in possesso del requisito dell’idoneità previsto dall’articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475 e successive modificazioni.
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post l. 124/2017 |
Comma 2. Le società di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica. Alle società di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 8. |
Art. 8 legge 362/91 |
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ante l. 124/2017 |
1. La partecipazione alle società di cui all’articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile:
a) con qualsiasi altra attività esplicata nel settore della produzione, intermediazione e informazione scientifica del farmaco; b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato |
post l. 124/2017 |
1. La partecipazione alle società di cui all’articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile:
a) nei casi di cui all’articolo 7, comma 2, secondo periodo; b) con la posizione di titolare, gestore provvisorio, direttore o collaboratore di altra farmacia; c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato |
N.B. In rosso le disposizioni precedenti; in blu le nuove.
Come vediamo, il nuovo secondo periodo del comma 2 dell’art. 7 [“La partecipazione ecc.] riscrive con alcune modifiche – e soprattutto lo integra innestandovi anche l’“esercizio della professione medica” – il precedente disposto sub a) del comma 1 dell’art. 8 della l. 362/91, ma sottraendo le condizioni di incompatibilità ivi previste a qualsiasi verifica di compatibilità con la l. 124/17, espressamente invece contemplata, come si rileva dal terzo periodo [“Alle società di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 8], per le condizioni sub b) e c) dello stesso comma 1.
Si è già osservato in altre occasioni che sono tre, e diversi tra loro, gli status incompatibili indicati nel comma 2 dell’art. 7: tutti sono però riconducibili all’intendimento del legislatore di evitare la partecipazione all’esercizio e/o gestione di una o più farmacie di figure imprenditoriali o professionali portatrici di interessi privati potenzialmente in grado di confliggere o incidere negativamente o porre comunque in pericolo l’interesse di rilievo pubblico alla “migliore” dispensazione del medicinale al cittadino.
Quanto alla produzione e all’informazione scientifica del farmaco, nella norma le due ipotesi vengono riunite perché i criteri di operatività sono gli stessi e in prima battuta sembra anche facile coglierli: la partecipazione è cioè impedita alla Pfizer, alla Bayer, alla Menarini, ecc., in quanto tali, come anche è impedita alle persone fisiche dei loro manager, impiegati o collaboratori anche autonomi, e così pure a un’impresa individuale o collettiva di informazione scientifica del farmaco come a tutte le persone fisiche degli informatori.
Quindi in queste due prime figure l’incompatibilità riguarda indubbiamente sia il socio persona fisica che il socio impresa o socio società.
Nonostante però la diversità di formulazione e il più stringente dato letterale, anche l’incompatibilità con l’“esercizio della professione medica” non sembra ragionevolmente circoscrivibile ai soli medici effettivamente esercenti la professione o anche semplicemente iscritti all’albo, perciò soltanto a soci persone fisiche.
Ben diversamente essa parrebbe doversi allo stesso modo applicare [la ratio è la stessa e tutto sommato neppure l’apparente rigore della lettera dovrebbe impedirlo] anche al socio società, quando evidentemente la società “partecipante” sia legittimata statutariamente all’esercizio di attività sanitarie inclusive di quella medica, e allora questa condizione di incompatibilità non può non coinvolgere anche le case di cura.
Inoltre, ribadendo un aspetto [già illustrato poco fa] dirimente dell’intera vicenda riguardante le incompatibilità, non si può non rilevare – se rileggiamo attentamene ancora una volta il secondo periodo [“La partecipazione ecc.”] e il terzo periodo [“…si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 8”] – che le condizioni indicate nel secondo periodo, a differenza di quelle elencate nell’art. 8 [cioè “con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privati” o “con la posizione di titolare, gestore provvisorio, ecc.”], vengono non per caso sottratte dal legislatore a un qualunque controllo/filtro di compatibilità, rendendo così quelle “con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica” tutte condizioni di incompatibilità assoluta, che non ammettono dunque scappatoie.
È vero che la Consulta [con la condivisione di CdS n. 4634 del 20/7/2020, che ha per di più aggiunto del suo per i vincitori in forma associata di sedi farmaceutiche nei concorsi straordinari] ha individuato per il dipendente pubblico o privato una via di fuga dalla situazione di incompatibilità sub c) del comma 1 dell’art. 8 – quella cioè della partecipazione a una società titolare di farmacia come socio di mero capitale e senza assumere funzioni/incarichi apicali – ma questa è una via che la Corte ha potuto in qualche modo configurare aggrappandosi, per la verità un po’ faticosamente, proprio al “filtro” della compatibilità di tale condizione con la l. 124/2017.
Un procedimento ricostruttivo che si può forse impiegare – mediante lo stesso percorso – anche per la figura di incompatibilità “con la posizione di titolare, gestore provvisorio ecc.”, ma non certamente [mancando la sponda di quel “filtro”…] per quelle di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 7.
Eccoci allora restituiti all’interrogativo iniziale: per quale strada misteriosa la sentenza della Corte n. 11/2020 potrebbe/potrà essere utilizzata per infrangere il muro della inderogabilità che la l. 124/2017 ha innalzato, ad esempio, per “l’esercizio della professione medica”?
Possiamo forse pensare a un’interpretazione rigorosamente restrittiva di questa condizione [circoscrivendola, ad esempio, ai medici persone fisiche] o a qualche altro stratagemma ermeneutico del genere, ma naturalmente riesce difficile – anche se proprio in questi giorni il Governo sta rimettendo le mani sul tema/Concorrenza… [che comunque non dovrebbe almeno questa volta riguardare le farmacie] – immaginare un crollo dell’intero sistema delle incompatibilità che del resto ben pochi potrebbero auspicare.
Tuttavia la sentenza di merito del CdS non dovrebbe tardare e quindi ben presto dovremmo saperne di più.
(gustavo bacigalupo)
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