[…dalla CTP di Reggio Emilia un condivisibile richiamo alla ragionevolezza]

Una recente sentenza di una commissione di merito (CTP Reggio Emilia n. 133/2021) ha preso coraggiosamente le distanze dall’ormai affermato orientamento dei giudici di legittimità secondo cui nelle srl a ristretta base societaria o familiare si presumono distribuiti ai soci i maggiori utili non dichiarati e accertati in capo alla società.
La presunzione si fonda – come è agevole comprendere – sulla sostanziale “immedesimazione”, in società di questo tipo, dei soci persone fisiche con la società in quanto tale e quindi sulla “contiguità” delle risorse finanziarie societarie con quelle personali dei soci.
Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha spinto questa presunzione fino al punto di farla valere anche nel caso in cui la ripresa a tassazione non sia fondata sull’accertamento di ricavi “in nero” o di costi inesistenti [che, per l’appunto, essendo iscritti in bilancio a fronte di operazioni mai realmente avvenute danno adito più che ragionevolmente al sospetto che la relativa contropartita finanziaria sia davvero rimasta nelle effettive disponibilità della società e quindi… dei soci] ma anche di costi effettivamente sostenuti e però ritenuti fiscalmente indeducibili per le più varie ragioni.
E infatti, se nei primi due casi [ricavi in nero e/o costi inesistenti] il rinvenimento in sede di verifica di una “ricchezza” occultata al Fisco potrebbe certo fare spazio alla presunzione che la società abbia potuto concretamente distribuire ai soci tale (maggiore) ricchezza, essendo l’utile dell’esercizio di riferimento più elevato di quello desumibile dal bilancio, nel terzo caso (costi indeducibili) – ben diversamente – questo non è assolutamente possibile perché qui i componenti negativi, pur essendo stati ritenuti indeducibili fiscalmente, sono stati sostenuti ed adeguatamente documentati e non possono perciò dare luogo a quella “provvista in nero” che si presume essere finita nelle tasche dei soci.
In questo caso, infatti, l’utile di bilancio non subisce alcuna variazione in aumento e ad essere incrementato è, semmai, il reddito imponibile.
La CTP di Reggio Emilia ha dunque riconosciuto che in un’ipotesi del genere la presunzione in discorso non può porsi se non altro per un elementare principio di ragionevolezza, così discostandosi dal pensiero della Cassazione che in termini e con modalità francamente discutibili continua invece ad affermare la legittimità del comportamento degli uffici fiscali anche in quel caso.
Quindi, almeno fino a quando alla Commissione reggiana non si saranno aggiunte altre pronunce di merito, e magari anche una sentenza della Suprema Corte, l’Amministrazione finanziaria molto difficilmente, purtoppo, cambierà indirizzo.

(stefano civitareale)

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