La recente sentenza della Cassazione sugli sconti è stata diffusa nelle ns. riviste e anche voi ne avete parlato.
Vorremmo però qualche dettaglio perché ci sembra che la sentenza abbia riguardato in realtà vari aspetti.

Il quesito si riferisce naturalmente alla sentenza n. 25571/2020 della Cassazione di cui si è davvero parlato diffusamente un po’ dappertutto.

Ora, l’abbuono totale o parziale del pagamento di ticket obbligatori per legge e l’applicazione di condizioni differenti di sconto alla clientela con riferimento ai farmaci non convenzionati integrano – secondo la Suprema Corte – proprio la fattispecie di concorrenza sleale.

Nel caso deciso dalla Suprema Corte erano ravvisabili più condotte idonee a configurare diverse violazioni, tra cui l’accaparramento delle ricette, una pubblicità non conforme alla disciplina vigente e l’applicazione di sconti con modalità selettive e discriminatorie.

Per la Cassazione l’insieme di queste condotte da parte di una farmacia avevano recato in primis un pregiudizio soprattutto economico agli altri esercizi, violando infatti nella sostanza l’art. 2598 cod. civ. e l’art. 3 comma 2 lett. c) del Codice Deontologico del Farmacista [concorrenza sleale].

Il Vs. Codice, infatti, vieta tutti quei comportamenti che possano presentare i caratteri della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 cod. civ. che prevede tre ipotesi distinte:

  • la concorrenza per confusione;
  • la concorrenza per denigrazione e/o appropriazione;
  • l’avvalersi “direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Per configurare una di queste ipotesi sono richiesti due presupposti: quello soggettivo, cioè l’effettiva situazione concorrenziale tra due farmacie, e quello oggettivo, cioè l’idoneità [in astratto] della condotta a danneggiare il concorrente, senza dunque necessità di un’effettiva produzione del danno.

(cesare pizza)

 

 

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