Da quanto vediamo, gli Ordini professionali hanno inviato l’elenco di tutti gli iscritti agli albi e altrettanto hanno fatto le cliniche, le farmacie, ecc., per i loro dipendenti senza quindi distinguere tra chi ha contatti con il pubblico e chi no.
Non si è tenuto conto perciò che l’introduzione con il d.l. n. 44 dell’obbligo vaccinale, come è detto nel comma 1 dell’art. 4 dello stesso provvedimento, persegue il “fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”: questa precisazione non vuol forse dire che l’obbligo di vaccinazione è imposto solo a chi ha contatti con il pubblico?
Dapprima, per comodità di chi legge, trascriviamo ancora una volta il testo integrale del comma 1 dell’art. 4 del dl. n. 44 citato nel quesito [mentre l’intero art. 4 – che disciplina anche nei dettagli l’obbligo vaccinale – è riportato nella Sediva News del 9 aprile u.s.].
1. In considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati. La vaccinazione e’ somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorita’ sanitarie competenti, in conformita’ alle previsioni contenute nel piano.
Ora, il dubbio che l’obbligo di vaccinazione sia imposto dal decreto legge soltanto agli “esercenti le professioni sanitarie” e agli “operatori di interesse sanitario” che svolgono – tanto i primi come i secondi – la loro attività nelle strutture sanitarie, ecc., è stato in realtà sollevato da più parti e in questo caso specifico dal funzionario di una Asl [forse un farmacista…].
Non era del resto un dubbio del tutto campato in aria perché il testo del comma 1 dell’art. 4, almeno per come è formulato, avrebbe potuto forse lasciar intendere – come anche noi avevamo inteso nel nostro primo commento – che i soggetti obbligati fossero bensì tutti i professionisti sanitari [quindi il medico, il farmacista, il biologo, il podologo, il dietista, ecc.] e tutti gli operatori di interesse sanitario sol quando però – gli uni e gli altri – svolgono l’attività appunto “nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”, quindi in ambiti nei quali il legislatore presume senza ammettere la prova contraria [secondo quel che si rileva dal successivo comma 6 dello stesso art. 4] che quei soggetti possano entrare in “contatti interpersonali” con i terzi, con il rischio perciò di diffusione del contagio da Covid-19.
Evidentemente, se davvero fosse stata quella la lettura corretta della norma, è facile capire quanto sarebbe stato complicato, per non dire impossibile, per un Ordine professionale [e non solo] distinguere tra un professionista sanitario che svolga l’attività in una di quelle strutture o magari semplicemente in un suo studiolo, e un altro che invece eserciti sì la professione ma – poniamo – senza fissa dimora [“porta a porta”, o simile, come talora ad esempio possono lavorare i podologi], essendo però anch’egli, allo stesso modo dell’altro, perfettamente in grado di avere “contatti interpersonali” e dunque di contagiare i malcapitati pazienti.
Ma elimina ogni perplessità, e taglia la testa al classico toro, il comma 3 disponendo tout court che l’Ordine professionale territoriale competente trasmetta alla Regione in cui ha sede – e proprio così hanno nei fatti provveduto tutti gli Ordini dei sanitari – l’elenco degli iscritti, quindi di tutti gli iscritti [occupati e disoccupati, vaccinati e non vaccinati], e che invece i datori di lavoro inviino – e tutti più o meno hanno ottemperato a questa indicazione – l’elenco dei soli dipendenti con la “qualifica” di operatori di interesse sanitario in una delle strutture che abbiamo visto, e anche qui dei vaccinati come dei non vaccinati, dato che sia per i professionisti sanitari che per gli operatori di interesse sanitario la verifica di chi sia vaccinato e di chi non lo sia è affare della Regione.
In definitiva, perciò, la condizione di svolgere “la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie ecc.” è richiesta dal provvedimento – perché siano considerati destinatari dell’obbligo vaccinale e di conseguenza perché i rispettivi datori di lavoro li debbano includere “per tale qualifica” nell’elenco da inviare alla Regione – solo per i non meglio identificati “operatori di interesse sanitario”, mentre per tutti i “professionisti sanitari” l’obbligo discende dalla mera iscrizione all’albo.
Come si è visto, però, per ambedue le categorie la misura interdittiva è la stessa ed è quella – come è descritta, in termini per la verità un po’ singolari, proprio nel comma 6 – della “sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano in qualsiasi altra forma il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.
E’ una misura pertanto la cui sfera di operatività, per l’ampiezza della previsione legislativa, prescinde o comunque va ben oltre l’ambito delle “strutture sanitarie, sociosanitarie, ecc.” e degli “studi professionali”, anche se per il farmacista [lo abbiamo rilevato nell’altra circostanza] essa può voler dire semplicemente doversi allontanare dal banco senza dunque nessuna incidenza sulla sua iscrizione all’albo, e men che meno sulla titolarità individuale o sociale della farmacia o sulla direzione responsabile dell’esercizio.
Un giudizio anche sommario sul provvedimento? Può forse apparire ingeneroso, tenuto conto dell’“allarme sociale” che può aver contribuito a spingere frettolosamente il Governo ad adottarlo [d’altra parte sono rarissimi i precedenti nel nostro Paese], ma è difficile contestare la sua modesta o modestissima utilità pratica, tanto più se guardiamo ai termini che scandiscono le varie fasi che dovrebbero condurre all’interdizione, perché sembra improbabile che le Asl [prese tra i fuochi dei due “inviti” previsti senza nessun termine perentorio nel comma 5] siano in grado di far funzionare adeguatamente un meccanismo così farraginoso – e destinato a una platea quasi sconfinata di “sanitari” e “operatori” – entro la fatidica data del 31 dicembre di quest’anno, quando auspicabilmente tutto questo finirà.
(gustavo bacigalupo)
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