[…a condizione però]

 

Il documento di trasporto (D.D.T.) può essere pienamente idoneo a superare le presunzioni – previste nell’art. 53 del D.P.R. 633/72 – di cessione oppure di acquisto dei beni se, rispettivamente, non rinvenuti oppure rinvenuti nei locali adibiti all’esercizio della farmacia o in quelli, esterni e separati dall’esercizio, utilizzati come magazzino secondario.

Questo  l’orientamento espresso dalla Cassazione per la prima volta con l’ord. n. 639/2018, rigettando il ricorso dell’Amministrazione finanziaria che aveva affermato l’inidoneità del D.D.T. – di per sé e in quanto tale – a vincere le presunzioni della legge iva perché dall’art. 53 del decreto iva non sembra ricavarsi l’utilizzabilità a tal fine di questo documento.

Gli Ermellini, in particolare, hanno di contro affermato che la disciplina del D.D.T. contenuta nel D.P.R. 441/97e segnatamente l’art. 1, comma 5, secondo il quale “la consegna a terzi a titolo non traslativo della proprietà risulta in via alternativa: […] b) dal documento di trasporto previsto dall’art. 1, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 14 agosto 1996 n. 472, integrato con la relativa causale” – ha valenza integrativa e ricognitiva della normativa in argomento, prima contenuta esclusivamente appunto nel richiamato art. 53.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui il trasporto della merce avvenga da una sede principale o secondaria/filiale/succursale/dipendenza/stabilimento/deposito, ecc. a un altro sito dello stesso contribuente, è necessario che si tratti di siti espressamente resi noti/comunicati formalmentee prima del passaggio dei beni – al Registro delle Imprese, oppure all’Agenzia delle Entrate in sede di dichiarazione di inizio o variazione di attività [ai sensi dell’art. 35 dello stesso decreto iva].

È quanto ha statuito ancora la Suprema Corte con la recente ordinanza n. 6325 del 2023, precisando però – attenzione – che, nel caso in cui sia invece il passaggio dei beni, ad esempio dalla farmacia al (secondo) magazzino esterno, a precedere la comunicazione al Registro Imprese e/o all’Agenzia delle Entrate riguardante la disponibilità di questo (secondo) magazzino, diventa comunque necessario [in via sostitutiva alla mancata comunicazione] che il DDT sia annotato sul libro giornale o altro libro tenuto a norma del codice civile o in uno dei registri tenuti in conformità all’art. 39 del D.P.R. n. 633 del 1972 [registro dei corrispettivi, acquisti, beni ammortizzabili, fatture emesse e ricevute].

Come ci pare di aver chiarito sufficientemente, è dunque opportuno chein tutti i casi in cui nell’esercizio dell’attività di farmacia la merce sia trasportata (restando nell’esempio) dal locale farmacia a un deposito esterno [oppure, aggiungiamo per completezza, da una farmacia all’altra quando una stessa società sia titolare di entrambe, o, ancora, quando la merce sia trasportata dalla farmacia a un dispensario o a una farmacia succursale] – il DDT, nell’ipotesi in cui il sito di arrivo non sia stato previamente reso noto alla CCIAA o al Fisco, venga se non altro regolarmente annotato nelle scritture contabili.

In sostanza, bisogna allora fare tesoro – in tutte queste vicende di spostamenti di merce o simili – delle indicazioni della Cassazione e delle prescrizioni normative invocate dalla Suprema Corte, anche se [sembra addirittura superfluo aggiungerlo] la soluzione regina, anche perché è certamente molto meno onerosa rispetto all’annotazione contabile di tutti i DDT (!), è quella della previa e tempestiva segnalazione di tutti i siti, diversi da quello di esercizio vero e proprio della farmacia, utilizzati nell’ambito della gestione aziendale.

(stefano lucidi)

 

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