La terza Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5577/2023, si è pronunciata, dapprima, sul delicato tema dell’omessa dichiarazione dei redditi e dell’iva, per poi soffermarsi sull’amministrazione di fatto, escludendone la configurabilità nell’ipotesi in cui il socio di una società di persone a ristretta base familiare si limiti a detenere il pc contenente la contabilità – anche se parallela – dell’impresa, senza però compiere nel concreto atti di autentica gestione.
In particolare, secondo i Giudici, la qualifica di amministratore di fatto va subordinata a una serie di condotte quando esse – ancor più se concorrenti tra loro – siano in grado di certificare attendibilmente quale sia il ruolo effettivamente esercitato dal socio all’interno della società e pertanto, come detto, la mera detenzione della contabilità non può ritenersi di per sé sufficiente.
Per quel che riguarda invece la questione relativa all’omissione della dichiarazione dei redditi e dell’Iva, la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui “ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa […] è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale, per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell’imponibile purché ne sussista la certezza o anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza”.
(cesare pizza)
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