Con la sentenza n. 14 del 9 febbraio u.s., come hanno comprensibilmente riferito [con commenti – era inevitabile – contrastanti tra loro] tutti i quotidiani, la Corte Costituzionale ha scritto la parola fine sulle presunte questioni di legittimità costituzionale circa l’obbligo vaccinale contro il Covid 19 per il personale sanitario, sulla sospensione dall’esercizio della professione e sul consenso informato, dichiarandone l’infondatezza.
La Corte – con riferimento all’art. 32 Cost. –  ha dapprima evidenziato come un trattamento sanitario obbligatorio è da ritenersi ammissibile quando

  • è diretto a garantire la tutela della salute pubblica e quando;
  • non vi sono rischi intollerabili per la salute dell’obbligato;
  • è prevista un’equa indennità nei casi di conseguenze eccezionali.

Pertanto, il pericolo che possa verificarsi un evento eccezionale e avverso non è sufficiente a sancire l’incostituzionalità del trattamento obbligatorio, tenuto conto soprattutto che – come del resto precisa la Corte – dagli studi scientifici non risultano particolari rischi per chi si sottopone o si è già sottoposto al vaccino.
Relativamente alla questione del consenso informato – riguardante gli artt. 3 e 21 Cost. – la Consulta sottolinea che l’obbligatorietà della sottoposizione al vaccino non può escludere di per sé la necessità che sia anche in tal caso raccolto il consenso informato: l’obbligatorietà in quanto tale, cioè, non può privare, e dunque non priva, il singolo della libertà di scegliere se adempiere o meno accollandosi ovviamente tutte le conseguenze della sua scelta.
Insomma, il trattamento sanitario – in cui il vaccino si risolve – è sì obbligatorio ma, differentemente da altri TSO, il cittadino qui vi si può sottrarre…

(cesare pizza – stefano lucidi)

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