Il mio compagno lavora da oltre sei mesi nella mia farmacia, e vorrei sapere se possiamo considerarci in regime di impresa familiare anche se non siamo né sposati né altro.
La risposta è affermativa.
L’Agenzia dell’Entrate, infatti, con la risoluzione 134/E/2017 si è pronunciata proprio in merito alla possibilità di optare per il regime di impresa familiare per i conviventi di fatto non legati al titolare né dal vincolo matrimoniale né da unione civile.
L’interpellante con atto modificativo di impresa familiare inseriva nell’impresa in qualità di convivente di fatto – come da dichiarazione anagrafica per la costituzione della convivenza di fatto rilasciata al Comune – la propria compagna.
Infatti, la famosa legge Cirinnà [su cui v. in generale, ma anche sul tema specifico qui trattato, Sediva News del 7/10/2016: “L’impresa familiare per le unioni civili e le convivenze di fatto: certezze e perplessità”] ha introdotto a suo tempo nel codice civile l’art. 230 ter il quale riconosce “Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”.
Dunque, secondo l’AdE il convivente di fatto che collabora all’impresa del proprio compagno/convivente è equiparabile al collaboratore dell’impresa familiare [quella disciplinata dall’art. 230 bis del cod. civ.] con la conseguente possibilità di riconoscere una quota di reddito per l’attività svolta, pari alla sua partecipazione all’impresa.
Con tale risoluzione, quindi, i principi sanciti dall’art. 5 co. 4 del TUIR per l’imputazione degli utili dell’impresa familiare vengono in pratica estesi anche al convivente di fatto.
Nonostante perciò l’art. 5 co. 4 del TUIR richiami l’art. 230 bis cod. civ. e non anche l’art. 230 ter, il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare“ – che spettano al convivente contenuto nell’art. 230 ter – è di per sé sufficiente a rendere applicabile anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare nell’ambito dell’art. 5 del TUIR.
(cesare pizza)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!