[…egli non accetti/abbia accettato con il beneficio d’inventario]

Recentemente la Corte di Cassazione (Ord. n. 36080 del 23/11/2021) ha reso alcuni importanti chiarimenti in tema di responsabilità per i debiti tributari del de cuius da parte dei chiamati all’eredità [eredi in senso stretto e legatari].
Secondo l’art. 485 cod. civ., il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità […]. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice [evidenziazione nostra – n.d.r.]”, invece l’art. 487 prevede che,Il chiamato all’eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare col beneficio d’inventario fino a che il diritto di accettare non è prescritto. Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l’inventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall’autorità giudiziaria a norma dell’articolo 485; in mancanza, è considerato erede puro e semplice…
In sostanza, il chiamato all’eredità che non si trovi nel possesso dei beni potrà accettare fino a che il diritto non sarà prescritto [dieci anni dall’apertura della successione]; invece, qualora si trovi nel possesso di beni ereditari e non esegua l’inventario nei termini previsti, non potrà rinunciare successivamente all’eredità [ai sensi dell’art. 519 cod. civ.] e rendere opponibile, pertanto, tale rinuncia nei confronti dei creditori del de cuius, quindi neppure nei confronti del Fisco, dovendo considerarsi, allo scadere dei termini stabiliti per l’inventario, erede puro e semplice (cfr. Cass. n. 4845/2003).
Nel caso esaminato dagli Ermellini l’Agenzia delle Entrate aveva accertato il mancato pagamento di debiti tributari a carico al de cuius, collettivamente ed impersonalmente nei confronti dei successori, nonostante questi avessero in seguito rinunziato all’eredità.
L’Agenzia delle Entrate invocava, per l’appunto, l’applicazione della disposizione appena richiamata, ritenendo che il possesso dei beni fosse presunto per effetto della circostanza che i soggetti destinatari dell’atto di accertamento avevano il domicilio nello stesso immobile in cui lo aveva il defunto e che, quindi, erano onerati dell’inventario, la cui mancata redazione ha determinato l’acquisto della qualità di erede, a nulla valendo la rinuncia all’eredità successivamente operata.
Erano in errore, quindi, i giudici della commissione tributaria regionale che hanno redatto la sentenza impugnata dall’Agenzia allorchè “(i)n merito alla doglianza dell’Ufficio, circa l’omessa redazione dell’inventario dei beni caduti in successione, ex art. 485 c.c., che avrebbe determinato la perdita del diritto di rinunciare all’eredità…” ritenevano “… che non è dato sapere se gli eredi rinunciatari si trovano nel possesso dei beni ereditari”.
E’ però un assunto che – secondo la Suprema Corte – non può essere condiviso dinanzi alla inconfutabile circostanza, correttamente dedotta dall’Agenzia nel suo ricorso, che gli allora chiamati all’eredità – è proprio questo il punto centrale della questione – avevano domicilio nello stesso immobile in cui aveva il domicilio il de cuius e che pertanto non potesse ragionevolmente dubitarsi che si trovassero già in possesso dei beni ereditari.
Una conclusione, tutto sommato, condivisibile.

(stefano civitareale)

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