Primo quesito – Sono titolare di farmacia e avevo a lungo trattato con una ditta, anche nei particolari, la ristrutturazione del locale. Non avevo onestamente dubbi sulla buona riuscita delle trattative, tenendo anche conto della grande disponibilità e cordialità manifestata dalla ditta, che mi aveva fatto credere che non sussistesse alcun problema per il perfezionamento del contratto definitivo. All’improvviso però, cioè di punto in bianco e senza dare alcuna spiegazione, la ditta è diventata irreperibile, creandoci parecchi problemi perché come minimo dovremo perdere almeno altri quattro o cinque mesi solo per progettare nuove soluzioni con altri interlocutori.
Considerate che avevo già impegnato un geometra e un architetto anticipando loro dei compensi.
In pratica, vorrei sapere se posso adire le vie legali con qualche probabilità di successo.

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Secondo quesito – Ho deciso dopo 25 anni di titolarità di farmacia, e non avendo figli né altre persone di famiglia interessate alla sua gestione, di venderla anche perché mi sono arrivate proposte molto vantaggiose.
Sono iniziate le trattative con un Fondo d’investimento che mi aveva fatto un’ottima offerta presentandomi quella che viene chiamata LOI che però è semplicemente una lettera di intenti che non vincola il Fondo.
Precisando che le trattative riguardano la cessione di quote sociali perché la farmacia è intestata a una sas di cui io sono l’accomandatario al 99% e un mio amico fraterno è l’accomandante all’1% oltre che il direttore responsabile, il mio avvocato e lo studio legale italo-americano che assiste il Fondo si sono scambiati alcuni testi di accordi diretti all’acquisizione da parte del Fondo dell’intero capitale della mia sas ma dopo che io l’abbia trasformata in una srl.
Era anche in programma, a ridosso della trasformazione, una Due Diligence da parte dei tecnici del Fondo.
Nel frattempo ho però ricevuto un’offerta molto più conveniente da un altro Fondo che ha proposto direttamente un contratto preliminare che il mio avvocato ritiene più sicura per me perché vincolante per il Fondo oltre ad essere maggiore l’importo offerto.
Il mio problema quindi è il seguente: il primo Fondo, dopo aver tentato di alzare l’offerta, mi ha fatto sapere dai suoi legali che non intende ritirarsi né partecipare ulteriormente alla gara al rialzo ma che potrebbe decidere di chiedere i danni per l’interruzione ingiustificata delle trattative.
Ritenendo che di fatti come questi ne abbiate conosciuti più di uno, vorrei il vs. parere.

Sono due quesiti che abbiamo voluto esaminare congiuntamente perché strettamente attinenti l’un l’altro, riguardando entrambi una questione – almeno in astratto – di responsabilità precontrattuale [la c.d. culpa in contrahendo].

È una figura che si ricava indirettamente dagli artt. 1337 e 1338 del codice civile:

Art. 1337 cc: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.

Art. 1338 cc: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”.

Nel rituale loro “combinato disposto”, le due disposizioni – sancendo particolarmente l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e di osservare gli obblighi di informazione nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto – mirano in sostanza a tutelare la libertà negoziale e l’interesse delle parti a non essere coinvolte in trattative inutili, a non concludere contratti invalidi e a non subire raggiri durante la negoziazione.

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Quindi, l’interruzione delle trattative non può di per sé ritenersi sufficiente

a configurare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, quantomeno perché nel nostro ordinamento non c’è in principio un obbligo di contrarre, se non quando, come del resto è noto, sia intervenuto un contratto preliminare.

Ma è opinione ormai pacifica in giurisprudenza che la condotta di un soggetto che interrompa le trattative, senza dare giustificate motivazioni e dopo aver indotto la controparte a fare ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto, può tradursi – e questo sembrerebbe proprio il caso descritto nel primo quesito – in una violazione del principio di buona fede tale da integrare un illecito precontrattuale, con la conseguente possibilità di agire in via giudiziaria per il risarcimento del danno, che ovviamente dovrebbe a sua volta essere da Lei adeguatamente provato.

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Più difficile sembra invece ricondurre a un’ipotesi di responsabilità precontrattuale la vicenda descritta nel secondo quesito, ricordando che – come ha affermato la Suprema Corte [n. 7545/2016] – “Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità”.

Pertanto, l’interruzione delle trattative con il primo Fondo d’investimento – che comunque ci pare fossero tutt’altro che vicine alla conclusione, essendo state definiti solo per grandi linee i passi successivi e questo dovrebbe essere sufficiente a escludere qualunque “ragionevole affidamento” della controparte sul perfezionamento definitivo del rapporto – non sembra di per sé poter giustificare la configurabilità a Suo carico di una culpa in contrahendo, e anzi, da quel che leggiamo, la Sua condotta parrebbe essersi sempre ispirata a criteri di sicura buona fede.

D’altra parte, le trattative erano dirette a raggiungere intese giuridicamente più robuste rispetto alla classica LOI, e dunque sarebbe stato forse diverso se il testo di un autentico contratto preliminare fosse stato saldamente già definito e che attendesse, ad esempio, una semplice sottoscrizione delle parti o giù di lì.

Questo, in sintesi, il tema – sempre molto delicato, beninteso – della responsabilità precontrattuale, ritenendo tuttavia opportuno aggiungere [per chi desiderasse saperne di più…] che c’è ancor oggi incertezza sulla natura della c.d. culpa in contrahendo: cioè, questa la domanda, si tratta di responsabilità extracontrattuale [art. 2043 cod. civ.: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”] oppure di responsabilità contrattuale [art. 1218 cod. civ.: “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”]?

Ma, come accennato, non c’è perfetta univocità di risposte, anche se dovrebbe essere più gettonata, sia in giurisprudenza che in dottrina, la tesi contrattualistica della responsabilità precontrattuale che, giova sottolinearlo, parte dal presupposto che è il “contatto [non contratto…] sociale” tra le parti a generare, proprio in quanto tale, un reciproco loro affidamento sulla base dell’obbligo di buona fede e di informazione/protezione circa la conclusione del contratto.

Ai… posteri, quindi, l’ardua sentenza.

(cesare pizza – gustavo bacigalupo)

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