Ha suscitato comprensibilmente qualche allarme la sentenza del Consiglio di Stato n. 2913 del 19/4/2022 [resa cliccabile] che, confermando Tar Emilia n. 486 del 13/6/2018, assume la piena legittimità di due provvedimenti [del 10 e 11 aprile 2014] con cui il Comune di Ferrara aveva autorizzato la “Farmacie Comunali Ferrara S.r.l” “ad ampliare” una delle 11 farmacie di cui era/è titolare – ed esattamente la “Farmacia Comunale n. 1 Porta mare”, ubicata in Corso Porta Mare n. 114 – “e, per l’effetto, ad aprire i locali ubicati in Ferrara, in Corso Porta Mare n. 106/108, fisicamente disgiunti da quelli già in uso”, ma che ciò nondimeno, sempre secondo i detti provvedimenti, “costituiscono parte integrante” della farmacia stessa.
Questa vicenda – che si è definita, come abbiamo visto, in otto lunghi anni [nel 2014 i provvedimenti impugnati, nel 2018 la sentenza del Tar di rigetto del ricorso del titolare di una farmacia privata della zona e nel 2022 quella del CdS di rigetto dell’appello] – viene sin dal suo avvio prospettata anche formalmente sia dalla A.F.M. Srl che dal Comune, e poi definitivamente condivisa dal giudice amministrativo, non come autorizzazione all’esercizio di una nuova farmacia [quel che aveva asserito il ricorrente] ma, molto più banalmente, come autorizzazione all’esercizio di una “ulteriore e diversa attività commerciale, volta esclusivamente alla attività di vendita parafarmaci, prenotazioni CUP ed eventuali servizi tra quelli individuati dalla l. n. 69 del 2009” [in materia di “Farmacia dei Servizi”].
Se scorrete questa sentenza del CdS, alcuni suoi passaggi probabilmente non li condividerete e non sarà soltanto l’assoluta novità delle conclusioni a destare qualche vostra perplessità.
Intanto, perché – se si tratta davvero di autorizzare una “ulteriore e diversa attività commerciale, volta esclusivamente alla attività di vendita parafarmaci ecc.” – osservare l’iter procedimentale previsto dall’art. 1 della l. 362/91 [con tanto di pubblicazione dell’istanza della A.F.M. Srl per 15 giorni consecutivi sia nell’albo pretorio che in quello della Asl] per i  casi di spostamento di una farmacia all’interno della sede e/o di ampliamento dell’originario locale di esercizio dell’attività con altro però contiguo e comunicante con il primo?
Inoltre, dov’è contemplata la necessità di un provvedimento di autorizzazione per l’esercizio di una parafarmacia per il quale infatti, ben diversamente, è notoriamente sufficiente una banalissima comunicazione al Comune di inizio di attività?
E come prevedere, addirittura testualmente, in provvedimenti di sicuro autorizzatori – anche se “delimitati nei loro effetti abilitativi” con la precisazione che “nei locali aggiuntivi risultano autorizzati esclusivamente l’espletamento delle attività di vendita parafarmaci ecc.” – l’erogazione/erogabilità in una parafarmacia [o, se si preferisce, in una “non farmacia”] di “eventuali futuri servizi nel rispetto della vigente normativa in materia di “Farmacia dei Servizi” in premessa richiamata”, quando perfino la Corte costituzionale [n. 66/2017] ha escluso espressamente una tale eventualità?
E poi, siamo certi [anche se questo aspetto non sembra sia stato eccepito dal ricorrente…] che alla A.F.M. Srl, società di gestione di 11 farmacie di cui è titolare il Comune di Ferrara, non sia applicabile la ben nota norma imperativa di cui al comma 1 dell’art. 7 della l. 362/91  sull’esclusività dell’oggetto sociale, tenuto conto dell’altrettanto ben nota sentenza additiva del 2003 della stessa Corte?
Insomma, senza volervi tediare ulteriormente, a noi sembra che qualificare questa singolare fattispecie – che trasmette fortissimamente la sensazione dell’ennesimo “fai da te” di un Comune [che autorizza infatti… se stesso, socio unico della A.F.M. Srl] –  come “mero ampliamento delle attività di una farmacia già esistente, ancorché da espletarsi in locali disgiunti e all’interno dei quali, tuttavia, proprio per non duplicare il numero di esercizi farmaceutici attivi in zona, è possibile offrire unicamente servizi diversi dalla vendita di farmaci e propri di una parafarmacia”, vuol dire superare in un sol colpo anche l’idea, che siamo abituati da tempo a considerare saldamente radicata, di farmacia quale “attività volta ad erogare prestazioni analitiche di prima istanza solo all’interno dei locali della farmacia e non anche in locali ubicati all’esterno di essa e distanti dalla sede” [così Tar Puglia, Lecce, n. 507/2012].
Personalmente, detto tra parentesi, non rifiuteremmo del tutto l’ipotesi di mettere a punto un robusto reticolato di disposizioni statali teso a riconfigurare – proprio nell’ottica sempre più ampia dei “nuovi servizi” – il rapporto tra la farmacia e i locali d’esercizio, come del resto qualche Regione ha riconfigurato, negli accordi con le rappresentanze delle farmacie, sia pure al solo fine di facilitare l’esecuzione dei tamponi Covid.
È vero che il discorso è ovviamente appena iniziato, e però non si può accettare che sia il Consiglio di Stato a sancirne improvvisamente l’avvio con una decisione – per giunta motivata in termini molto discutibili – che assolva tanto allegramente provvedimenti amministrativi di dubbia legittimità, se non altro per i profili di eccesso di potere che in questa vicenda [prescindendo da insignificanti elementi fattuali] affiorano seriamente in alcuni passaggi.
È chiaro, tuttavia, che ben presto se ne dovrà riparlare, ma vogliamo rinnovarvi l’invito a leggere integralmente la sentenza del CdS, che – anche per i suoi spunti, pur contestabili, di novità – non vi annoierà.

(gustavo bacigalupo)

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