L’art. 9 del Decreto Capienze [dl 8/10/2021 n. 139] ha modificato, tra l’altro, anche il dlgs 30 giugno 2003, n. 196 con riguardo alle disposizioni in materia di protezione dei dati personali.
In particolare, vi si prevede che “il trattamento dei dati personali da parte di un’amministrazione pubblica […] ivi comprese le Autorità indipendenti e le amministrazioni […] o di un organismo di diritto pubblico, è sempre consentito se necessario per l’adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l’esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti”.
Sembra dunque evidente che con questo disposto normativo il diritto alla privacy viene – per così dire – “surclassato” dalle finalità di interesse pubblico, concedendo di fatto alle p.a. il via libera al trattamento dei dati personali per tutte quelle funzioni svolte nell’esercizio di pubblici poteri o nel pubblico interesse.
E’ necessario anche precisare che – qualora siano appunto in gioco interessi di rilievo pubblico – è addirittura precluso al Garante della privacy qualsiasi intervento a favore dell’interessato con la prescrizione di misure e/o accorgimenti.
Sempre al fine di rafforzare la lotta all’evasione, l’art. 9 comma 3 interviene inoltre limitando in maggior misura i poteri interdittivi del Garante e stabilendo che i pareri richiesti a quest’ultimo dalla p.a. in merito “a riforme, misure e progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza […]” devono essere resi “nel termine non prorogabile di trenta giorni dalla richiesta, decorso il quale può procedersi indipendentemente dall’acquisizione del parere”.
Vale la pena infine sottolineare che in questa vicenda esercita/può esercitare un ruolo importante anche il c.d. “anonimometro”, che è uno strumento che permette l’avvio di una procedura di incrocio tra i dati presenti nell’Anagrafe tributaria, nel quadro evidentemente della finalità di esercitare controlli sulla base dei rischi calcolati e dei parametri definiti.
(matteo lucidi)
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