Il Governo ha infine reintrodotto, sia pure sul classico “filo di lana”, la rivalutazione delle partecipazioni sociali, un provvedimento evidentemente molto atteso e che si cominciava a temere di non vedere più – dopo parecchi anni – riproposto.
Ma contrariamente alle attese la rivalutazione non figura nel decreto “energia”, che è stato infatti pubblicato sulla GU privo di questa misura, che dunque dovremmo poter vedere in decreti legge di prossima pubblicazione.
La sorpresa, non da poco, è in ogni caso l’aumento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva che sale al 14%, in luogo dell’11% degli ultimi anni.
La data di riferimento per la perizia di stima è l’1/1/2022, che pertanto è la data iniziale del possesso dei beni da rivalutare.
L’operazione, quindi, può interessare soltanto le società esistenti a quella data e non quelle costituite successivamente.
L’innalzamento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva impone comunque di svolgere qualche riflessione sull’attuale convenienza a cogliere quest’opportunità per i soci di società titolari di farmacie che siano in procinto [o abbiano progettato] di cedere le partecipazioni.
Ricordiamo che la cessione di quote sociali (snc, sas e srl), operata da persone fisiche non nell’esercizio di impresa/arte o professione, dal 2019 è soggetta a un’imposta ordinaria del 26% (c.d. ritenuta secca) che grava sulla plusvalenza, cioè sulla differenza tra il prezzo di cessione ed il costo fiscale della partecipazione ceduta [pure se la determinazione di quest’ultima grandezza è suscettibile di diverse declinazioni anche in base al titolo di provenienza: successione mortis causa o negozio tra vivi].
L’imposta sostitutiva [ora del 14%] si paga, invece, sull’intero valore periziato.
Tuttavia, considerando che normalmente si accede alla rivalutazione già con le idee chiare sull’operazione da effettuare [in pratica avendo già “compromesso” la cessione delle quote], assumeremo nel prosieguo del nostro discorso che i due valori (di perizia e prezzo di cessione) siano sostanzialmente coincidenti.
Chiarito questo, una semplice equazione matematica ci può aiutare a stabilire il c.d. punto di indifferenza, cioè il valore della plusvalenza – espressa in percentuale del prezzo di cessione – per cui è “indifferente” la scelta tra rivalutazione e tassazione ordinaria, visto che ambedue le soluzioni generano lo stesso carico fiscale.
Chiamando, infatti:
P il prezzo complessivo di cessione;
D la plusvalenza;
e ricordando che l’aliquota della tassazione ordinaria è il 26% mentre quella della rivalutazione è il 14%, si ha che:
26% D = 14% P
Da cui, attraverso alcuni semplici passaggi, si ricava che:
D=53,85% P
Quindi, possiamo concludere che quando la plusvalenza è pari al 53,85% del valore periziato diventa “indifferente” la scelta tra i due regimi.
N.B. In realtà, a ben guardare, se si considera anche il costo della perizia giurata, già per questa percentuale la bilancia pende a favore della tassazione ordinaria…
Diventa invece più conveniente la rivalutazione quando la plusvalenza è superiore a quella percentuale; conclusione opposta, intuibilmente, nel caso in cui la plusvalenza sia inferiore, rivelandosi evidentemente più vantaggioso applicare la tassazione ordinaria.
Quindi, ogni cessione di partecipazione – e certo non fanno eccezioni quelle di società titolari di farmacie – deve essere assoggettata a questo giudizio comparativo per tentare di cogliere il regime più conveniente.
Ma, soprattutto nel mondo delle farmacie, con che frequenza si propone la convenienza ad aderire a quest’ennesima versione della rivalutazione, specie ora che l’aliquota dell’imposta sostitutiva è cresciuta di ben tre punti?
Per cercare di dare una risposta a questo interrogativo, ricorriamo allora a un semplice esempio riferendoci a una snc titolare di una farmacia con un fatturato di 1.200.000 euro[1], composta da due soci con partecipazioni paritarie che siano in procinto di essere integralmente cedute.
La nostra società, grazie ad un’oculata gestione, è sufficientemente capitalizzata con un capitale sociale di 10.000 euro, interamente versato, e con riserve di utili pregressi non distribuiti per circa 300.000 euro, per un totale di patrimonio netto di 310.000 euro.
La stima attuale dell’avviamento ascrivibile alle cessioni di partecipazioni di società titolari di farmacie oscilla tra il 150% e il 200% del fatturato (c.d. metodo dei multipli)[2] a cui bisogna generalmente aggiungere, per arrivare al prezzo complessivo di cessione, il valore degli assets – cioè delle attività cedibili al netto delle passività dell’azienda-farmacia sottostante (cioè la farmacia contenuta nella “scatola” societaria) – che per lo più vengono assunti per il loro valore netto contabile: in definitiva dobbiamo sommare all’avviamento il valore del patrimonio netto contabile (PNC) dell’azienda ceduta[3].
[1] Che costituisce ancora ragionevolmente il fatturato “medio” delle farmacie italiane che quindi riflette la dimensione economico-patrimoniale “tipica” di questi esercizi nel nostro paese.
[2] Anche questo è un dato suggerito dall’osservazione del mercato in questi ultimi mesi, anche se la redditività propria dell’esercizio ceduto sta acquistando sempre di più un ruolo centrale nelle trattative.
[3] In verità per gli immobili e per le merci non si assume il valore contabile, ricorrendo per i primi ad una valutazione di mercato e per le seconde ad una stima elaborata con criteri convenzionali ed applicata alle consistenze fisiche delle merci stesse, determinate sulla base di un inventario redatto alla data di cessione.
In questi termini il prezzo complessivo varia tra un minimo di 2.110.000 euro (1.800.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC) e un massimo di 2.710.000 euro (2.400.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC).
Il costo fiscale delle partecipazioni cedute è pari a 310.000 euro, dato dal valore nominale delle quote sottoscritte (10.000 euro) cui si aggiunge l’ammontare degli utili (tassati per trasparenza ma) non distribuiti che costituiscono la riserva (300.000 euro) (art. 68, comma 6, TUIR).
Volendo assumere per l’avviamento, per continuare nel nostro esempio, un valore medio tra quello minimo e quello massimo proposto di 2.100.000 euro [(1.800.000 euro + 2.400.000 euro)/2], abbiamo che la plusvalenza, quale differenza tra il prezzo complessivo di 2.410.000 euro (2.100.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC) e il costo fiscale delle partecipazioni di 310.000 euro, è pari a 2.100.000 euro, corrispondente all’87,14% del prezzo complessivo.
Nessun dubbio, a questo punto, che convenga la rivalutazione [sia pure con l’aliquota maggiorata del 14%] che infatti costerebbe 337.400 euro (2.410.000 euro x 14%) mentre con la tassazione ordinaria i nostri soci verserebbero ben 546.000 euro (2.100.000 euro x 26%).
Ma la conclusione di questo nostro semplice esempio, nettamente a favore della rivalutazione, può essere indicativa per l’intero settore?
Con un prezzo di 2.410.000 euro il punto di indifferenza tra i due regimi si verificherebbe per una plusvalenza di 1.297.785 euro (2.410.000 euro x53,85%).
Da cui si evince che, per far pendere la bilancia a favore della tassazione ordinaria, e quindi a sfavore della rivalutazione, il PNC della società ceduta ‑ che, ricordiamolo, è il secondo elemento costituente il prezzo complessivo di cessione – dovrebbe essere pari a oltre il 46,15% del prezzo di cessione.
Nel nostro caso avremmo di conseguenza: 1.112.215 euro (2.410.000 euro – 1.297.785 euro).
L’esperienza ci dice che per una farmacia con quell’ammontare di ricavi un tale grado di patrimonializzazione è estremamente improbabile tenuto conto che un siffatto volume di “capitale proprio” investito nella società o è al servizio di un ampio progetto di sviluppo oppure rappresenta un’allocazione di risorse finanziarie palesemente scorretta; e ancora l’esperienza ci suggerisce che patrimonializzazioni del genere non si rinvengono neppure nei casi in cui la farmacia abbia acquistato con risorse proprie (cioè non ricorrendo all’indebitamento) i locali ove esercita l’attività.
Certamente l’esempio svolto non può pretendere di giungere a conclusioni valide in tutti i casi [e, lo ripetiamo: ogni cessione di partecipazione – ivi comprese quelle di società titolari di farmacie – deve essere assoggettata al giudizio comparativo tra rivalutazione e tassazione ordinaria, per essere pressoché sicuri di cogliere il regime più conveniente].
Riteniamo però che sia sufficiente per concludere – rispondendo così alla domanda iniziale – che i casi in cui, per una cessione di partecipazioni sociali di società titolari di farmacia, non convenga aderire alla rivalutazione scegliendo così la tassazione ordinaria, costituiscono francamente ancora un numero ridotto; e questo, nonostante il non lieve aumento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva.
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Ci rendiamo conto di avervi intrattenuto parecchio sull’argomento, comunque importante e sempre molto caldo, e però queste notazioni – soprattutto se avrete la pazienza di rileggerle almeno una volta – crediamo possano darvi idee concrete, e magari anche abbastanza esaustive, circa le scelte che potrete essere chiamati a esercitare.
(stefano civitareale)
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