La Corte di Cassazione si è soffermata recentemente (sent. n. 36.195 del 23/11/2021) su alcuni aspetti dell’ampio ventaglio delle responsabilità dell’amministratore di società quando questi sia nella realtà solo una “testa di legno” di altro soggetto gestore “di fatto” dell’ente collettivo.
È una vicenda che si riscontra non di rado anche nelle/per le società titolari di farmacie e intendiamo parlarne tenendo presente proprio fattispecie concrete di cui ci siamo occupati/ci occupiamo.
La questione qui decisa dalla Suprema Corte riguardava particolarmente – è vero – reati tributari, ma da questa sentenza è lecito trarre, come vedremo, anche principi e indicazioni di carattere generale.
Così, ad esempio, l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi finalizzata all’evasione d’imposta costituisce certamente – sia pure al superamento di determinate soglie – un reato, ascritto e imputabile alla persona [o alle persone] obbligata/e alla presentazione del modello e quindi, in definitiva, al legale rappresentante/amministratore “di diritto” della società e infatti è un reato omissivo proprio, che postula una condotta relativa a un dovere/obbligo personale e non delegabile.
Ecco allora che la responsabilità penale non è declinabile neppure nel caso in cui – ovviamente molto frequente – sia stato affidato ad un professionista l’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi.
È anche vero, però, che la prova del dolo specifico di evasione non discende dalla semplice violazione dell’obbligo dichiarativo, né da una “culpa in vigilando” sull’operato del professionista – che trasformerebbe da doloso in colposo il comportamento anti-giuridico del legale rappresentante – ma dalla ricorrenza di precisi elementi di fatto, che dimostrino come egli abbia consapevolmente preordinato l’omissione della dichiarazione all’evasione dell’imposta [per importi superiori alla soglia di rilevanza penale].
Anche in tema di sanzioni amministrative, sempre per omessa presentazione della dichiarazione, vale lo stesso principio: occorre che l’azione od omissione che provoca la violazione sia volontaria, cioè compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, cioè compiuta con dolo o negligenza, fermo in ogni caso che la prova dell’assenza di colpa grava sempre sul soggetto obbligato.
Pertanto anche qui il rappresentante legale – vale a dire l’amministratore “di diritto” – non si sottrae alle sue responsabilità, in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi attribuibile al professionista “infedele”, fornendo esclusivamente la prova dell’attività di vigilanza e controllo in concreto esercitata sull’operato di costui.
Ben diversamente, sarà necessario dimostrare il comportamento fraudolento del professionista, attuato, poniamo, mediante falsificazione dei mod. F24 di pagamento delle imposte, delle ricevute di ricezione delle dichiarazioni telematiche, o attraverso altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante.
Se, dunque, l’amministratore “di diritto” è investito del reato in argomento anche quando si avvale alla luce del sole di un professionista, che margini vi sono per coinvolgere l’amministratore “di fatto” nella commissione dell’illecito?
Intanto e in primo luogo è necessario provare l’esistenza di quest’ultimo [cioè di un amministratore “di fatto” diverso da quello “di diritto”], quindi provare l’esercizio – da parte di persona diversa dal legale rappresentante, e in modo continuativo e significativo – dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, anche se non necessariamente di tutti i poteri ascritti all’organo di gestione, potendo bastare la prova di un’apprezzabile attività di amministrazione svolta non episodicamente né occasionalmente.
Se questa prova c’è, allora l’amministratore “di fatto” può anche essere chiamato a rispondere a determinate condizioni [in solido con la società, beninteso] anche delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni tributarie accertate a carico della persona giuridica, alla quale infatti – anche quando per l’appunto sia gestita da un amministratore “di fatto” – fanno generalmente carico in via esclusiva le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario.
In definitiva, comunque, non è facile per il legale rappresentante – sia ben chiaro – trarsi d’impaccio denunciando la circostanza che l’amministrazione “di fatto” della società è prerogativa di altro soggetto: quindi la scelta di optare per scenari spesso complicati [come può essere questo] deve essere ponderata sempre con molta cura.
(stefano civitareale)
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