Ho letto il Vs. parere, sempre molto argomentato, sulla situazione di quel mio collega che vorrebbe anche lui dare la farmacia ai suoi due figli farmacisti, anche se nel mio caso uno è farmacista e la sorella lavora in farmacia ma con mansioni amministrative.
Io però fortunatamente non ho il problema della legittima di mia moglie perché lei è più che autosufficiente, né abbiamo un terzo figlio da sistemare.
In pratica credo che la strada migliore sia quella del legato congiunto che voi avete ben delineato e non penserei perciò a una donazione in vita.
Ma i miei dubbi nascono dal fatto che la figlia è in comunione legale con il marito che mi sembra sia piuttosto interessato al destino della farmacia perché oltretutto lavora negli investimenti finanziari.
Invece vorrei che la farmacia dopo la mia morte andasse a loro due senza interferenze.
Il quesito mostra idee piuttosto chiare e quindi quello che abbiamo scritto nella Sediva News cui certamente Lei si riferisce [12.11.2020 La farmacia ai due figli farmacisti legato o donazione?] in pratica potrebbe interessarLe solo in parte.
Lei intanto esclude espressamente la donazione congiunta della farmacia [e possiamo capirne le ragioni tanto più che qui non sembra possano porsi problemi di lesioni di legittime tali da consigliare l’apposizione nella liberalità di oneri modali o simili], ma non siamo certi che Lei abbia ben valutato anche l’ipotesi di costituire sin d’ora una società con i Suoi due figli, che è la soluzione che in quell’altra circostanza abbiamo illustrato e indicato come ragionevolmente preferibile e che francamente, per quel poco che abbiamo letto, parrebbe anche qui l’opzione migliore sotto tanti aspetti, compresi quelli accennati la volta scorsa.
Rinviando in ogni caso alla Sua migliore meditazione questa diversa ipotesi, qui restiamo doverosamente fermi alla Sua idea del legato congiunto.
Intanto, però, ed è bene sottolinearlo, i due legatari [se non sarà proprio Lei a dettare nella disposizione testamentaria anche la disciplina perlomeno dei profili essenziali e talora vitali dei rapporti sociali tra loro] dovranno comunque aver cura – quando sarà… – di regolare con accortezza le norme di funzionamento della società, di persone o di capitali, che costituiranno tra loro subito dopo la pubblicazione del testamento e che sarà riconosciuta titolare del diritto d’esercizio della farmacia, e in particolare dovranno preoccuparsi di chiarire i rispettivi ruoli, obblighi lavorativi e compensi, la sorte di una quota nel caso di premorienza di un socio, e così via.
Ma certo è che il regime di comunione legale sussistente tra Sua figlia e il coniuge [evidentemente questo è un regime che continua a… imperversare] non deve minimamente preoccuparla.
Infatti, la farmacia – appunto perché sarà acquisita [anche se congiuntamente con il fratello, quel che non ha qui alcun rilievo] “successivamente al matrimonio per effetto di (…donazione o) successione” – rientrerebbe sicuramente tra i “beni personali” dei due legatari e allora, proprio in quanto tale, non potrebbe costituire in nessun tempo un “oggetto della comunione” [art. 179, comma 1, cod. civ.], cui in definitiva la farmacia e così pure la quota sociale ascritta a ciascun figlio resterebbero per sempre estranee.
Ne abbiamo parlato in varie occasioni ma una volta di più non può far danni.
Dunque, è vero che il precedente art. 178 dispone che “i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa”, sembrando così che il legislatore del ’75 [che ha incisivamente riformato, come noto, il diritto di famiglia] abbia inteso includere nella c.d. comunione differita o de residuo – quella cioè che attrae nel regime di comunione legale alla data del suo scioglimento alcuni beni, fino ad allora di proprietà esclusiva di un coniuge, se e nella misura in cui risultino a quel momento ancora sussistenti – anche i beni o gli incrementi aziendali secondo che la farmacia sia stata individualmente acquisita da “uno dei coniugi” prima o dopo il matrimonio.
Senonché, ricordando ancora una volta – per completezza – che tra le cause di scioglimento, oltre evidentemente al decesso di uno dei due coniugi, c’è anche la separazione personale tra loro [cosicché il regime cessa per effetto stesso della sentenza che omologa la separazione consensuale o pronuncia quella giudiziale], nel Suo caso la farmacia/quota perverrebbe/sarebbe pervenuta ai due figli a seguito di successione, dunque per quanto detto come uno dei “beni personali” indicati nell’art. 179 e però, eccoci al punto, la farmacia/quota resterebbe “bene personale” di ogni figlio sia durante la comunione che anche dopo il suo scioglimento.
Il che, s’intende, varrebbe esattamente allo stesso modo anche nel caso in cui oggetto del legato congiunto fosse, ad esempio, la Sua quota di partecipazione alla società da Lei eventualmente costituita con i Suoi due figli, una soluzione che tra l’altro Le permetterebbe anche di descrivere forse meglio perfino i rapporti tra loro che, come accennato, spesso si rivela un tema delicato da affrontare.
Comunque, lo ribadiamo, anche il legato congiunto – sia della farmacia che dell’ipotetica Sua quota sociale – non correrebbe nessun rischio, ancor meno quello che Lei sembra paventare.
(gustavo bacigalupo)
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