Con comprensibile preoccupazione dei contribuenti si sta affermando da qualche tempo il “vezzo” dell’Agenzia delle Entrate di riqualificare come cessione di area edificabile la cessione di fabbricato, quando nell’atto di vendita si ravvisi la volontà dell’acquirente di acquistare il bene al fine di demolirlo e ricostruirlo con aumento di volumetria.
Il motivo è chiaro. La lettera b) dell’art. 67 TUIR annovera tra i “redditi diversi” soggetti a imposizione sia le plusvalenze conseguite dalla cessione di fabbricati che quelle realizzate dalla cessione di aree edificabili, operando però un’importante distinzione tra le prime – soggette ad imposizione soltanto se realizzate entro il quinquennio dall’acquisto o dalla costruzione [con la rilevante eccezione dell’immobile adibito ad abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto/costruzione e la cessione] – e le seconde, imponibili in ogni caso.
Ebbene, agli sfortunati contribuenti raggiunti da accertamenti di questo genere soccorre ora la Corte di Cassazione, facendo finalmente chiarezza sull’argomento.
La Sezione tributaria, infatti, con l’ordinanza n. 19.642 depositata il 21 luglio – intervenuta sull’argomento e dando seguito a precedenti pronunce [Sez. V civ. n. 5.088/2019 e 5900/2019] – ha avuto modo di affermare che “(i)n tema di IRPEF, ai fini della tassazione separata, quali “redditi diversi”, delle plusvalenze realizzate a seguito di cessioni, a titolo oneroso, di terreni dichiarati edificabili in sede di pianificazione urbanistica, l’alternativa fra edificato e non edificato non ammette un ‘tertium genus’. Ne consegue che la cessione di un edificio, anche ove le parti abbiano pattuito la demolizione e ricostruzione con aumento di volumetria, non può essere riqualificata dall’amministrazione finanziaria come cessione del terreno edificabile sottostante, neppure se l’edificio non assorbe integralmente la capacità edificatoria residua del lotto su cui insiste, essendo inibito all’ufficio, in sede di riqualificazione, superare il diverso regime fiscale previsto tassativamente dal legislatore per la cessione di edifici e per quella dei terreni”.
Insomma, auspicando di aver rettamente inteso il pensiero degli Ermellini, se di cessione di fabbricato si è trattato, come tale deve essere qualificata anche ai fini fiscali, essendo necessario aver riguardo al bene esistente al momento della cessione ed effettivamente ceduto e non al bene futuro [l’area edificabile] ottenibile successivamente per effetto della demolizione del fabbricato che vi insista sopra.
Una decisione senz’altro da condividere che restituisce un po’ di giustizia nei rapporti tra Fisco e contribuenti spesso vittime di un’Amministrazione finanziaria un po’ troppo… fantasiosa.

(franco lucidi)

 

 

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