[…a valutare con maggiore attenzione le prove offerte dal contribuente]
Si registra un’altra pronuncia della Cassazione (Cass. Civ. Sez. V; Ord. n. 11.428 del 30/04/2019) a favore dei contribuenti colpiti da accertamento “redditometrico” [il cui utilizzo da parte dell’Agenzia delle Entrate si sta da qualche tempo, per la verità, sempre più affievolendo …].
Stiamo parlando, per intenderci, di quella tipologia di accertamento fiscale (ex art. 38, comma 4 e ss. D.P.R. 600/73) fondato in sostanza sull’assunto – che costituisce tecnicamente una presunzione legale relativa contro cui è ammissibile pertanto la prova contraria – per il quale, se un soggetto manifesta una capacità di spesa superiore al reddito dichiarato, deve dimostrare come si è procurato i mezzi per farvi fronte.
Diversamente resterebbe provato che la spesa è stata finanziata con redditi non assoggettati regolarmente a tassazione (in una parola, evasi).
È una questione che quindi, come si sarà probabilmente già rilevato, si articola sul terreno della prova e proprio su questo tema giungono i chiarimenti degli Ermellini.
Nel caso sottoposto al giudizio della Corte, infatti, il giudice di merito non aveva vagliato attentamente le contro-prove [in sintesi una donazione indiretta di denaro che avrebbe consentito l’acquisto di immobili per un valore eccedente il reddito dichiarato nell’anno di riferimento dell’acquisto] offerte dal contribuente che ha lamentato proprio questo dinanzi al Collegio di legittimità, e cioè che – se tutte le prove presentate fossero state valutate – l’accusa di evasione sarebbe stata senza dubbio demolita.
Insomma, il giudice di merito è stato troppo sbrigativo, scartando quasi … “al buio” le argomentazioni offerte dall’interessato.
A questo punto, per meglio comprendere la portata del “rimprovero” che gli Ermellini muovono al giudice di merito (nella fattispecie la Commissione Tributaria Regionale di Bari), è necessario fare un passo indietro e ricordare l’insegnamento al riguardo della Suprema Corte (v. Cass. Civ. Sez. V n. 6.396 del 19.03.2014) secondo il quale – per vincere la presunzione di “evasione” posta dall’art. 38 – è sufficiente dimostrare la disponibilità della provvista necessaria in un lasso temporale ragionevolmente comprendente il momento di sostenimento della spesa e non necessariamente invece lo stretto collegamento tra quella disponibilità e il suo impiego per la spesa stessa [c.d. “nesso eziologico”].
In altri termini, per contrastare e vincere la presunzione legale per cui dalla spesa eccedente il reddito dichiarato discende sic et simpliciter la dimostrazione di reddito “evaso” [non dovendo perciò provare altre correlazioni tra i due momenti], può e deve bastare una “contro-prova” presuntiva della stessa intensità che evidenzi semplicemente – senza dunque la necessità di ulteriori elementi – che al tempo della spesa vi era la disponibilità finanziaria sufficiente per affrontarla, al di là pertanto di qualunque dimostrazione circa l’effettivo impiego.
Anche questo, a ben guardare, è un aspetto del principio di parità delle parti nel processo: al contribuente non si può chiedere una contro-prova di grado superiore a quella posta dalla legge a favore dell’Erario.
Ora, reso questo dovuto chiarimento, nel caso in esame – ad avviso della Corte – il Collegio regionale ha completamente omesso ogni considerazione circa le allegazioni del contribuente tendenti a dimostrare la natura di donazione indiretta degli immobili.
In particolare, chiarisce la Cassazione, “la CTR liquida l’accertamento istruttorio asserendo che il contribuente non avrebbe assolto all’onere di dimostrare la connessione tra gli assegni bancari depositati in atti e gli acquisti degli immobili a sé intestati” [proprio il nesso eziologico di cui NON si ritiene necessaria la dimostrazione, come dicevamo prima].
Senonché, continua la sentenza, “una simile motivazione finisce per mostrarsi gravemente insufficiente” dato che “il giudice non può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi a enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto ‘statico’ della complessa dichiarazione motivazionale ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto ‘dinamico’ della dichiarazione stessa”.
Come vediamo, insomma, la contestazione non si appunta soltanto sul rango della prova ma sullo stesso modus procedendi nella stesura della motivazione, anche se l’approdo della Corte è comunque lo stesso: errata valutazione della prova da parte del giudice di merito.
Può darsi, ce ne rendiamo conto, che questa nostra analisi – soprattutto a una prima lettura – possa non essere semplicissima da cogliere, ma sono aspetti molto importanti che possono riguardare in pratica la vita di parecchie famiglie ed è facile trovarsi in situazioni simili a quella decisa dalla Cassazione [basti pensare alla frequenza delle donazioni indirette che possono intervenire tra i genitori e i figli…].
Invitandovi quindi a rileggere queste note [se non vi sono apparse subito limpidissime], è chiaro che si tratta di una pronuncia in definitiva confortante, anche perché in realtà contribuisce anche a ristabilire il giusto equilibro tra le parti troppe volte trascurato nel processo tributario.
(stefano lucidi)
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