Il ns. comune ha poco più di 3000 abitanti distribuiti in due frazioni: una corrisponde in pratica al centro storico, ha 1700 abitanti ed è in collina, l’altra è distante 8 km., è a valle e ha circa 1300 abitanti.
Le farmacie sono due: quella ubicata nella frazione a valle è sempre stata in funzione; l’altra è stata istituita intorno al 2000 in soprannumero nel centro storico, dove c’è anche il municipio e uno studio medico, perché i residenti si sono trovati sprovvisti di assistenza in quanto la farmacia che era stata originariamente istituita lì aveva ottenuto lo spostamento nella frazione sottostante.
Ora la farmacia del centro storico vorrebbe spostarsi un po’ fuori verso il basso, allontanandosi di circa un chilometro dal centro, restando quindi sempre molto lontana dalla frazione a valle.
La questione che vorremmo porvi è duplice: può essere spostata una farmacia istituita con il criterio topografico? E se il nuovo locale dista circa 2500 metri dalla farmacia ubicata in un comune vicino?

Intanto, da quel che leggiamo, la sede soprannumeraria ubicata nel centro storico è stata impiantata dopo la l. 362/91, quando cioè la distanza legale che le farmacie istituite ex art. 104 T.U.San. devono osservare rispetto agli altri esercizi, anche se ubicati in comuni limitrofi, è passata da 1000 a 3000 metri, quel che naturalmente vale sia per il locale prescelto in fase di prima attivazione che per eventuali altri in cui la farmacia [originariamente e tuttora soprannumeraria] intenda in prosieguo trasferirsi.

Questa notazione sembra quindi, già di per sé, non rendere facile che l’ambìto spostamento dell’esercizio possa essere tout court autorizzato, tenuto conto che il locale in cui vorrebbe trasferirsi dista meno di 3000 metri dalla farmacia di un comune limitrofo [anche se torneremo più in là su questo profilo] che – è ragionevole sospettarlo – potrebbe impugnare al Tar l’ipotetico provvedimento autorizzativo.

In ogni caso, è vero che in principio il titolare della sede è libero di scegliere l’ubicazione dell’esercizio purché all’interno della relativa porzione territoriale, ma questa libertà non è illimitata, potendo il Comune [che oggi deve ritenersi la sola amministrazione competente, prescindendo perfino dall’eventuale previsione contraria della legge regionale] contrapporre valutazioni che ineriscono strettamente, come abbiamo sottolineato altre volte, a potestà discrezionali più ampie se si tratta di autorizzare il trasferimento di una farmacia rurale, poniamo, da una frazione all’altra della sede di riferimento, e meno ampie, fino ad azzerare in sostanza la discrezionalità, nei casi di farmacie ubicate nel cuore di grandi centri urbani.

L’esercizio di tali potestà [quando, s’intende, sia configurabile un benché minimo margine di discrezionalità]  deve mirare, come sappiamo, all’ottimizzazione della funzionalità del servizio farmaceutico in rapporto sia alle “storiche” e ben note “esigenze degli abitanti della zona”, quanto e (forse) soprattutto alle nuove finalità della pianificazione territoriale dettate dall’art. 11 del Crescitalia [“una più capillare presenza” delle farmacie sul territorio e “una (loro) equa distribuzione”, ma l’una e l’altra in funzione del fine primario della pianificazione che è la “maggiore accessibilità al servizio” che tenga peraltro “altresì conto delle esigenze di garantire l’accessibilità… anche a quei cittadini residenti in aree scarsamente abitate”].

Si tratta dunque di valutazioni che riducono almeno in astratto la libertà di iniziativa economica della farmacia‑impresa e si giustificano, come ripete ormai da dieci anni [esattamente da CdS 4588/2012] il Supremo Consesso amministrativo, considerando che il titolare di farmacia si giova, in realtà, di un sistema di quasi-monopolio, in quanto è protetto dalla concorrenza da una triplice barriera: primo, il “numero chiuso” degli esercizi farmaceutici; secondo, l’assegnazione di una porzione di territorio (zona) all’interno della quale gode di un pieno diritto di esclusiva, nel senso che nessun altro farmacista vi si può insediare; terzo, il divieto imposto ai concorrenti di avvicinarsi al di sotto di una distanza minima, ancorché si trovino all’interno della zona di loro spettanza.

Non può invocare la pienezza dei diritti del libero mercato – conclude solennemente il suo assunto il Consiglio di Stato – chi, gestendo un servizio di pubblica utilità, usufruisce di tali e tante deroghe ai princìpi del libero mercato.

Inoltre, in questa specifica vicenda esistono nel territorio comunale due centri abitati indubbiamente lontani e forse mal collegati tra loro, tanto da rendere necessario che ciascuno dei due sia dotato di una farmacia propria e quindi richiedere l’istituzione di un esercizio in soprannumero nel centro storico [“straordinariamente” in deroga al criterio demografico che infatti giustificherebbe a fatica perfino una sola farmacia al servizio di ambedue le località…].

Il che parrebbe rendere ancor più complicato per il Comune spiegare un’eventuale autorizzazione allo spostamento di una farmacia soprannumeraria istituita esattamente per sopperire alle esigenze dell’assistenza farmaceutica del centro storico [che ha per giunta una consistenza demografica maggiore della frazione a valle]: si tratterebbe comunque di un provvedimento che la giurisprudenza amministrativa generalmente fatica molto a legittimare.

Certo, l’allontanamento della farmacia dal centro storico sarebbe più o meno di un solo km e perciò il disagio per i residenti del centro storico potrebbe forse rivelarsi molto contenuto [se trascuriamo il problema – che spesso in questi casi viene introdotto – degli anziani] e inoltre, mentre questa farmacia vedrebbe sicuramente incrementarsi il suo bacino di utenza – perché è verosimile che richiedendo lo spostamento intenda “catturare” l’utenza fluttuante in una o più strade sottostanti il centro storico – non ne verrebbe incisa la farmacia ubicata nell’altra frazione.

Questi, in definitiva, potrebbero essere due aspetti in grado anche di orientare il Comune verso il rilascio dell’autorizzazione, e pertanto almeno in parte bilanciare quelli di segno contrario cui si è accennato.

Insomma, potrebbe anche essere una partita da giocare sul filo sottilissimo della discrezionalità amministrativa e quindi anche su quello della motivazione del provvedimento comunale [di autorizzazione o di diniego che sia], e tuttavia crediamo che lo stato attuale della giurisprudenza spinga verso un provvedimento di rigetto dell’ipotetica istanza di autorizzazione.

Una fattispecie non molto dissimile da quella descritta nel quesito è stata, ad esempio, decisa negativamente per la farmacia che avrebbe voluto abbandonare il centro storico [cfr. CdS 5009/2022], anche se in quella vicenda l’amministrazione comunale aveva ampiamente spiegato il diniego con due successivi e motivati provvedimenti di revisione della pianta organica che avevano in sostanza “lasciato” nel centro storico la farmacia ivi istituita a suo tempo in soprannumero.

D’altronde, resta un argomento molto robusto la considerazione che se – dopo l’istituzione di una seconda farmacia in soprannumero – se ne attua uno spostamento per effetto del quale la località originariamente ritenuta bisognosa di assistenza farmaceutica ne resta almeno parzialmente priva, si viene a contraddire la stessa ragion d’essere di due farmacie invece di una sola [CdS 5840/2014], cosicché diventa difficile in un quadro del genere sfuggire alla regola “due frazioni per due farmacie”.

Nel vs. caso, poi, verrebbe richiesto uno spostamento – è necessario rimarcarlo ancora una volta – a una distanza, rispetto alla farmacia di un comune adiacente, inferiore a 3.000 metri, pur essendo questo un argomento che la giurisprudenza negli ultimi anni ha talora svalutato non pretendendo con il massimo rigore il rispetto della distanza legale, che sia di 3.000 metri, o di 200 metri, o anche di 400 o 1.500 metri che sono le distanze che devono rispettare le farmacie aggiuntive [porti, aeroporti, stazioni, ecc.].

Abbiamo voluto esaminare i numerosi aspetti di tali fattispecie, perché non sono rarissime in un Paese come il nostro che infatti annovera ancora un numero tutt’altro che modesto di piccoli comuni, dove dunque situazioni come queste – restando alle farmacie – non sono certo infrequenti.

(gustavo bacigalupo)

 

 

 

 

 

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