L’art. 3 del D.L. n. 44/2021 [Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione] ha introdotto una previsione – quella del c.d. scudo penale, che sino a qualche tempo fa assumeva un ruolo soprattutto mediatico – finalizzata a prevenire eventuali addebiti di “responsabilità” a carico dei vaccinatori in presenza di effetti indesiderati e/o eventi avversi verificatisi in conseguenza dell’inoculazione del vaccino.
L’esigenza di introdurre una norma così formulata [sul dl. 44/2021 v. comunque Sediva News 09.04.2021 “Neppure il farmacista “no vax” potrà essere sospeso dall’albo”] sembra indice non equivoco della necessità, da più parti avvertita, di scongiurare pericolose iniziative giudiziarie che possano in seguito rivelarsi affrettate o, ancor peggio, meramente pretestuose.
L’operatore sanitario, infatti, è a tutti gli effetti esecutore di un atto sanitario vincolato, di cui tra l’altro abbiamo ancora poca conoscenza e l’analisi dei profili della colpa da parte dell’Autorità giudiziaria appare alquanto difficoltosi.
La ratio della disposizione sembra tuttavia essere non contestabile: il legislatore ha voluto offrire garanzie volte a “rassicurare” il personale sanitario coinvolto in prima linea nello svolgimento di una delle attività su cui sono state e sono tuttora riposte maggiori speranze per contrastare l’epidemia.
Resta il fatto che, precedentemente all’introduzione del dl. 44/2021, il panorama legislativo già forniva una protezione al “somministratore”, considerando che lo “statuto della responsabilità dei professionisti” – così come disciplinato dagli art. 5, 6 e 7 della legge 24/2017 – si fonda sul principio per il quale non può considerarsi responsabile chi si sia comportato correttamente ed abbia diligentemente rispettato le linee guide e le buone pratiche assistenziali [ricordiamo che la corretta somministrazione di un vaccino – che altro non è che un’iniezione intramuscolo (generalmente) sul deltoide – non comporta autentici rischi operativi, mentre eventuali reazioni avverse, ove oggetto di corretta informativa preventiva, non possono certo essere imputate all’operatore, in presenza di farmaci preventivamente autorizzati dalle autorità competenti].
Indubbiamente, anche l’attuale impianto normativo offre un’ampia protezione ai professionisti che somministrano i vaccini, senza necessità di un qualunque “scudo” di responsabilità, di cui ad ogni buon conto si evidenziano di seguito almeno due criticità:
a) la prima afferisce alla configurazione di un nesso causale [il rapporto tra la condotta e l’evento cagionatosi] tra l’inoculazione del vaccino ed il sorgere di una patologia, dato che la causalità presuppone evidentemente una ricostruzione eziologica molto stringente “al di là di ogni ragionevole dubbio” e non sicuramente una mera associazione temporale tra eventi;
b) la seconda riguarda invece la necessità di ravvisare un comportamento colposo in capo al sanitario che ha somministrato il vaccino, e si tratta – come è noto anche ai “non addetti ai lavori” – del presupposto necessario perché possa muoversi un rimprovero al soggetto agente.
Nell’ipotesi in cui la responsabilità colposa dell’operatore sanitario sia a lui addebitabile a titolo di imperizia, la legge ne esclude la punibilità quando siano rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, ovvero [in mancanza di queste] le buone pratiche clinico-assistenziali, sempreché “la raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto” [art- 590 sexies comma 2 c.p.].
Qualora, pertanto, l’operatore sanitario si limiti a somministrare un vaccino debitamente approvato dalle autorità competenti e nel rispetto delle modalità prescritte, sembra francamente molto remota ogni possibilità di fondare a suo carico un qualsiasi profilo di responsabilità.
Tutto questo al netto, beninteso, di eventuali errori di conservazione o somministrazione.
Anche alla luce di queste considerazioni, dunque, la vera ragion d’essere di tale supposto “scudo” può ravvisarsi a tutto concedere nello scongiurare l’avvio di procedimenti penali o civile, che tuttavia – nei casi suindicati – si tradurrebbero generalmente, sembra chiaro, in “mere” archiviazioni e/o pronunce di rigetto.
Concludendo, in realtà non si pone tanto il problema dell’introduzione di uno “scudo” volto a prevenire forme di responsabilità men che improbabili, quanto piuttosto quello dell’interposizione di un barrage all’avvio di iniziative giudiziarie naturalmente inopportune, un’esigenza quest’ultima che peraltro neppure l’introduzione di uno scudo penale sembra essere in grado di soddisfare appieno.
E allora, replicando l’interrogativo di chiusura alla citata Sediva News, “è proprio uno “scudo”?
(federico mongiello)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!