[…o di quote di una società titolare di farmacia]

Abbiamo costituito una snc per l’acquisto di una farmacia non volendo accettare la proposta del venditore di costituire previamente tra noi una società per poi procedere a una cessione di quote, anche se questo ha comportato un leggero rialzo del prezzo.
Si tratta di una farmacia di dimensioni importanti e con parecchio personale e comunque nella situazione patrimoniale che ci è stata presentata figurano debiti verso fornitori che potrebbero agire nei confronti della ns. snc.
Vorremmo avere, se possibile, un quadro generale dei rischi che assumiamo.

È un tema affrontato più volte e per aspetti anche diversi tra loro, ma forse un “quadro generale” dell’intera vicenda – in termini magari il più possibile semplificati – può essere utile riproporlo.

Dunque, il trasferimento [oneroso o gratuito, oppure anche mediante conferimento in società] di un’azienda individualmente posseduta determina, ove il contratto non disponga diversamente:

  1. la cessione dei crediti aziendali all’acquirente;
  2. la successione di quest’ultimo nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa; e,
  3. il divieto di concorrenza a carico del venditore.

Ma determina anche – questa volta però inderogabilmente per le parti, quindi di diritto – la responsabilità del cessionario in solido con il cedente per i debiti risultanti dai libri contabili obbligatori [salvo quel che diremo tra un momento].

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I tre ordini di conseguenze di cui sub 1, 2 e 3, come si è visto, sono derogabili tant’è  che nelle cessioni a titolo oneroso i contraenti convengono nella gran parte dei casi di escludere – ma devono farlo espressamente – sia una generalizzata successione nei contratti aziendali [che per lo più  viene infatti circoscritta alle utenze e all’eventuale contratto di locazione] come anche la cessione dei crediti dell’impresa all’acquirente [N.B. – Nelle donazioni e nei conferimenti in società le cose vanno però diversamente dato che, per ragioni soprattutto di opportunità fiscale, il donatario e la società conferitaria subentrano in tutti i crediti e in tutti i contratti].

Quanto al divieto di concorrenza, fino a qualche tempo fa [perché da qualche anno anche questo profilo tende sempre più a essere disciplinato con norme anche molto puntuali] le parti hanno trascurato tale aspetto, senza però forse rendersi conto che l’assenza di una qualunque disposizione contrattuale in proposito dà via libera all’art. 2557 del cod.civ.

Questa impone nel comma 1 all’alienante di “astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta”, precisando nel comma 2 che “il patto di astenersi dalla concorrenza in limiti più ampi di quelli previsti dal comma precedente è valido, purché non impedisca ogni attività professionale dell’alienante”.

La ratio della disposizione è chiara: si vuole assicurare all’acquirente – pur senza incidere eccessivamente, come abbiamo appena letto, nella libertà professionale del cedente – il tranquillo godimento dell’azienda, che potrebbe certo rivelarsi meno tranquillo se al cedente fosse consentito di riprendersi di fatto [tutta o in parte] l’“utenza” che egli ha “alienato”.

Nella pratica, perciò, quando questa figura non è stata contrattualmente regolata, bisogna verificare caso per caso [ed è un’indagine che può spettare infine al giudice…] se l’attività commerciale che l’alienante abbia in ipotesi riavviato, pur magari identica a quella ceduta, si presenti – rispetto al luogo d’esercizio e/o alle “altre circostanze” – idonea a porsi nel concreto in termini veramente concorrenziali rispetto all’altra.

Anche queste ultime considerazioni, comunque, fanno ritenere difficilmente configurabile un divieto di concorrenza a carico di chi cede una farmacia; potremmo semmai immaginarlo in ordine all’esercizio relativo ad una sede confinante con quella inerente all’azienda ceduta, ma anche in tale evenienza è ortodosso pensare che proprio la ripartizione del territorio – più o meno rigorosamente, secondo il criterio opzionato dal Comune – in sedi farmaceutiche, il contingentamento degli esercizi che vi è connesso e l’obbligo di rispettare una distanza minima [i tre capisaldi del sistema faticosamente più o meno sopravvissuti alle manipolazioni legislative degli ultimi anni] escludano una vera idoneità della nuova farmacia, ipoteticamente attivata dall’alienante pur in una sede contermine, a “sviare la clientela” di quella ceduta.

La questione è peraltro elegante e – anche per la sua crescente rilevanza a seguito dell’infittimento sul territorio del numero delle farmacie e altresì, perché no?, dell’ingresso sulla scena di nuove figure di “titolari” – può valere la pena almeno in qualche circostanza di approfondirla adeguatamente.

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Invece, qualche notazione in più sui debiti aziendali: ne risponde, come accennato, anche l’acquirente in solido con il cedente, a meno che non siano stati dichiaratamente oggetto di accollo da parte del primo e i creditori abbiano “consentito” alla liberazione del cedente, anche se probabilmente per liberare il cedente non è condizione essenziale una dichiarazione espressa o in forma scritta dei creditori.

Certo è in ogni caso che la responsabilità solidale dell’acquirente, come detto, discende di diritto dal codice, e dunque è inopponibile a qualsiasi terzo un qualunque patto contrario intercorso tra cedente e cessionario, cosicché – se non hanno prestato il consenso alla liberazione del venditore – i creditori possono rivolgersi indifferentemente a quest’ultimo come all’acquirente [appunto per la solidarietà tra loro], salvo il diritto del cessionario, quando sia lui a pagare, di rivalersi nei confronti del cedente.

Proprio per tale esposizione dell’acquirente alle pretese dei creditori aziendali, si tende a prevedere nel contratto  – quando, s’intende, l’ammontare  dei  debiti residui non sia stato oggetto di accollo liberatorio per il cedente [e, per questo, non sia stato pertanto decurtato dal prezzo di cessione] – che  il  pagamento di una parte del corrispettivo avvenga in un tempo successivo al trasferimento, su cui l’acquirente possa quindi esercitare le sue ragioni di rivalsa, oppure, più di frequente, che sia effettuato direttamente in mani dei creditori aziendali contestualmente o giù di lì al rogito di cessione.

Ma, come dicevamo, la responsabilità solidale dell’acquirente opera soltanto per i debiti risultanti “dai libri contabili obbligatori”, e quindi ne è elemento costitutivo la loro inequivoca emersione dalla contabilità e anche la loro stretta inerenza all’esercizio dell’impresa:  siamo in presenza con tutta evidenza di una norma a tutela della buona fede dell’acquirente la quale però, attenzione, nel testo in vigore ormai da vent’anni dell’art. 2112 del cod.civ. cede dinanzi all’esigenza di protezione dei lavoratori dipendenti dell’impresa.

Costoro, infatti, a seguito delle varie  successive  riscritture di quella disposizione del codice, da ultimo modificata e integrata dal d.lgs. 276/03, non soltanto hanno il diritto di “continuare” il rapporto di lavoro con il nuovo titolare dell’impresa [questi, se vorrà, potrà bensì “esercitare il recesso” nei confronti dei lavoratori “ceduti”, ma potrà farlo soltanto invocando secondo le regole ordinarie, comprese quelle dettate con i vari jobs act e simili, un giustificato motivo o una giusta causa e senza in ogni caso poter invocare a questo fine il trasferimento d’azienda], ma vedono solidalmente obbligati nei loro confronti il venditore e l’acquirente  “per tutti i crediti” maturati “al tempo del trasferimento”, indipendentemente perciò sia dalle risultanze del libro unico del lavoro, che dalla loro conoscenza o  conoscibilità da parte del cessionario.

Il che, però, non vale ovviamente per i rapporti di lavoro cessati o esauriti in data anteriore alla vendita, per i quali le eventuali ragioni creditorie dei lavoratori devono invece essere trattate esattamente come tutti gli altri debiti aziendali, e perciò anch’esse vanno considerate oggetto della responsabilità solidale dell’acquirente soltanto alla luce e nei limiti delle evidenze contabili dell’impresa.

Da ultimo, i debiti fiscali: anche qui, è vero, c’è la responsabilità dell’acquirente – peraltro esclusa per le imposte dirette conseguenti alla cessione [quelle sulla c.d. plusvalenza, per intenderci] che restano infatti a esclusivo carico dell’alienante – ma essa è circoscritta alle risultanze  del certificato previsto nell’art. 14 del d.lgs. 472/97, che sarà quindi bene acquisire in tempo utile rispetto alla stipula del rogito definitivo di vendita, tenendo presente che potrà richiederlo anche l’acquirente.

Se è negativo (o non rilasciato “entro i quaranta giorni successivi” alla richiesta) il certificato, precisa la norma citata, “ha pieno effetto liberatorio del cessionario”  e di conseguenza non potrà scattare a suo carico nessuna responsabilità fiscale, mentre, se evidenzierà un qualunque ammontare di imposte dovute dall’alienante, l’acquirente ne risponderà in solido con il venditore, se pur limitatamente a quel solo ammontare.

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Infine, un rapidissimo parallelo con la cessione/acquisto dell’intero capitale della società – diciamo, per comodità, una sas – costituita tra il cedente e il cessionario nello specifico comune intento di operare non una cessione di azienda ma di quote sociali [ma il parallelo va bene anche con la cessione/acquisto di quote di una qualunque società da parte di un qualunque terzo].

Si tende ormai nella stragrande maggioranza dei casi a prediligere questo percorso rispetto alla cessione d’azienda e le ragioni le conoscete, anche se in tale eventualità concorrono alla valutazione di quel che conviene al cedente e quel che conviene all’acquirente anche altri fattori, come la rivalutabilità fiscale delle quote [specie, naturalmente, quando siano in ballo quote possedute da qualche tempo], l’affrancabilità dell’avviamento, ecc., fattori che in definitiva – rivolgendoci ora all’autore del quesito – potrebbero anche fargli cambiare idea circa la scelta a lui più conveniente.

E, quanto agli aspetti esaminati partitamente poco fa parlando di cessione/acquisto di un’azienda come tale, si tenga presente che nel caso di cessione di quote non si pongono in genere – per motivi facilmente intuibili – né problemi di continuazione dei contratti o dei rapporti di lavoro, né questioni di subentro nei crediti o nei debiti: il soggetto infatti, che è una società, resta lo stesso anche se tizio sia subentrato a caio nel possesso dell’intero capitale sociale [anche se, quando oggetto della cessione è una quota sociale, quel “certificato fiscale” di cui sopra non ha nessun rilievo riguardando soltanto, per la stessa intitolazione dell’art. 14, la cessione di un’azienda].

Può in ogni caso avvertire la necessità di qualche tutela più seria chi cede le quote, perché  – quale socio pro tempore – egli  può essere chiamato a rispondere in via solidale, sussidiaria e illimitata delle obbligazioni sociali insorte anteriormente alla cessione e rimaste successivamente inadempiute nonostante l’escussione della società da parte dei creditori: stiamo parlando evidentemente del socio di una snc o di un socio accomandatario, che dunque dovrà trovare il modo per assicurarsi la migliore protezione per le dette eventualità, ad esempio liquidando egli stesso [se del caso con la provvista fornita in pratica dal cessionario] le posizioni debitorie della società al momento del rogito, o pretendendo dal cessionario l’immediata definizione di ogni posizione.

Per oggi, questo quadro – neppure troppo “generale”, come invece promesso all’inizio – può sicuramente bastare.

(gustavo bacigalupo)

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