È quanto in sostanza afferma la Cassazione in una sua ordinanza di qualche giorno fa (n. 27116 del 27/11/2020).
Qui gli Ermellini si riallacciano all’ indirizzo giurisprudenziale consolidato per cui “la prova dell’inerenza di un costo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa […] incombe sul contribuente”; cosicché qualora “sia contestato dall’Amministrazione finanziaria il difetto di inerenza della spesa, è onere del contribuente offrire la dimostrazione della correlazione del costo sostenuto con l’attività d’impresa in concreto esercitata”.
Il principio – si badi bene – è di fonte esclusivamente giurisprudenziale dato che la norma nulla dispone in tal senso e costituisce, come è intuibile, uno dei tanti “regali” offerti al Fisco che, in questo modo, può limitarsi a generiche e superficiali contestazioni circa l’inerenza e la deducibilità di un costo “scaricando” in pratica sullo sfortunato/distratto imprenditore sottoposto a verifica – che, è ovvio, può tranquillamente essere anche una farmacia – l’onere di provare il contrario, cioè la perfetta inerenza di quel costo all’impresa esercitata.
E come può il ns. imprenditore fornire la prova dell’inerenza della spesa sostenuta all’attività? Secondo la Suprema Corte, restando nel caso specifico delle spese di manutenzione e gestione di autoveicoli, indicando in fattura la targa del veicolo di riferimento.
Diversamente, saranno costi indeducibili non potendo l’impresa dimostrare il contrario in un eventuale contenzioso.
La prudenza suggerisce, quindi, di (far) indicare sempre nel documento giustificativo di spesa la targa del veicolo aziendale e porsi così al sicuro dal rischio [non proprio remoto] di vedersi stralciati fiscalmente questi costi in caso di contestazione.
(stefano civitareale)
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