È stato recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri il primo decreto legge del nuovo Governo, chiamato – come abbiamo potuto tutti rilevare – “Decreto Dignità”.
“Dignità” che nelle intenzioni governative dovrebbe, in particolare, essere restituita ai lavoratori precari grazie alle modifiche apportate alle disposizioni che presiedono ai contratti di lavoro a termine e ai licenziamenti.
Quanto ai contratti a tempo determinato, la durata massima passa dagli attuali 36 mesi a 24 mesi e possono essere stipulati senza causali fino a 12 mesi, mentre per gli ulteriori rinnovi – che scendono nel limite massimo da 5 a 4 – sarà obbligatorio indicare le esigenze che lo giustificano, che in ogni caso devono essere temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive, oppure connesse a incrementi temporanei significativi e non programmabili dell’attività ordinaria o, infine, relative a “picchi” di attività stagionali.
Se il datore di lavoro sarà però in grado di determinare immediatamente le motivazioni per cui il lavoratore non potrà essere stabilizzato all’interno dell’azienda sarà possibile assumerlo fino al ricordato termine massimo di 24 mesi.
Inoltre, è previsto l’aumento del costo contributivo delle proroghe di 0,5 punti per ogni rinnovo, in aggiunta naturalmente all’incremento dell’1,4% introdotto dalla Legge Fornero.
Il termine dovrà risultare da atto scritto e la nuova disciplina si applica ai nuovi contratti di lavoro a tempo determinato, nonché nei casi di rinnovo dei contratti in corso al momento dell’entrata in vigore del decreto legge.
Quanto ai licenziamenti, nel caso di risoluzione illegittima del rapporto di lavoro per gli assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015 nelle imprese con più di 15 dipendenti, l’indennità dovuta al lavoratore (in luogo del reintegro nel posto di lavoro) passa da un minimo di 6 mensilità a un massimo di 36 (la normativa attualmente in vigore prevede una “forbice” da 4 a 24 mensilità), mentre nelle imprese con meno di 16 dipendenti l’indennità minima passa a 3 mensilità (oggi è fissata in 2), fermo il tetto di 6 mensilità.
Dal punto di vista fiscale, il testo del provvedimento appare per la verità deludente, o perlomeno non allinearsi granché agli annunci proclamati durante la campagna elettorale, dato che – a parte l’eliminazione del regime del c.d. split payment per i professionisti nei rapporti con la pubblica amministrazione (resta dunque per le imprese come le farmacie), che rimuoverà lo svantaggio patito dai professionisti [che hanno maturato e maturano infatti un credito iva peraltro di problematico rimborso…] – è stato per il resto confermato lo spesometro per l’anno 2018 [prevedendo la sua trasmissione telematica all’Agenzia delle Entrate nel termine del 1 ottobre 2018 per il primo semestre dello stesso anno e del 28 febbraio 2019 per il secondo semestre], come anche il redditometro [la determinazione del reddito sulla base delle spese sostenute dal contribuente], ma è fatta salva la rideterminazione con separato decreto ministeriale dei coefficienti moltiplicativi delle spese stesse.
Le proteste più o meno accese di questi giorni da parte delle associazioni rappresentative delle imprese [che temono, tra l’altro, l’incremento delle cause giudiziarie connesse alla sussistenza delle causali di rinnovo, che erano state invece drasticamente ridotte in vigenza della acausalità], e forse anche dei lavoratori [che temono da parte loro un vorticoso turn over, avendo le imprese interesse a stipulare contratti a tempo determinato soltanto per i primi 12 mesi nei quali non è appunto necessaria la causale], produrranno probabilmente qualche effetto in sede di conversione parlamentare del decreto legge, anche se ci pare che nella sostanza la “filosofia” del provvedimento (la “dignità”) non possa ormai – visto anche il clima che caratterizza i rapporti tra i due partiti dominanti – cambiare più di tanto.
Vedremo dunque quel che alla fine dell’iter parlamentare – che fatalmente sarà anch’esso sofferto, nonostante il decreto provenga dal “Governo del cambiamento” – ne sarà derivato.
(stefano lucidi)
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