[…perché ora il pedone deve comunque “fare i conti” anche e soprattutto con il codice della strada]
Parliamo, è chiaro, della distanza legale di 200 metri che – come sanno tutti – deve osservare rispetto alle altre farmacie chi intenda trasferire il proprio esercizio nell’ambito della sede di pertinenza [ma anche, nonostante una diversità di formulazione in realtà di scarsissimo rilievo, chi debba attivare per la prima volta una farmacia di nuova istituzione: il quarto e il settimo comma dell’art. 1 della l. 475/68, infatti, sul punto specifico della misurazione dei 200 metri precisano entrambi che “la distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie”].
Questo comunque, in particolare, il disposto del quarto comma introdotto dall’art. 1 della l. 362/91: “Chi intende trasferire una farmacia in un altro locale nell’ambito della sede per la quale fu concessa l’autorizzazione deve farne domanda all’autorità sanitaria competente per territorio. Tale locale, indicato nell’ambito della stessa sede ricompresa nel territorio comunale, deve essere situato ad una distanza dagli altri esercizi non inferiore a 200 metri. La distanza è misurata per la via pedonale più breve tra soglia e soglia delle farmacie”.
Rifare la storia dell’interpretazione giurisprudenziale di quest’ultimo passaggio – lunga oltre cinquant’anni – richiederebbe verosimilmente più tempo di quello che avete a disposizione per cogliere questo nuovo punto di arresto del CdS su un aspetto centrale [appunto quello del “giusto” criterio di misurazione dei 200 metri] che “infiniti lutti addusse” alla categoria per le numerosissime controversie portate alla cognizione del giudice amministrativo, e tutte, più o meno, riguardanti proprio il criterio di calcolo della distanza legale.
Ed è anche per la verosimile cessazione di gran parte di queste ostilità – che crediamo consegua alla decisione qui in rassegna – che ci pare di dover guardare ad essa con favore tanto più che, per una volta, il nostro Supremo Consesso amministrativo spiega al colto e all’inclita [troppe volte, infatti, il CdS non si è preoccupato più di tanto di illustrare le ragioni di alcuni suoi ripensamenti…] il perché di un mutamento di indirizzo tutt’altro che banale e, si badi, di grande rilevanza anche sul piano della concreta operatività e quindi di indiscutibile ausilio altresì per la pubblica amministrazione.
Ci riferiamo, è il momento di precisarlo, alla sentenza n. 9399 del 2 novembre 2023 della V Sez. del Consiglio di Stato, e, per comprendere meglio l’ultimo, e auspicabilmente definitivo, approdo ermeneutico che vi si coglie, non si può non richiamare dapprima il più robusto dei suoi arresti originari – che in pratica, salve precisazioni in itinere scarsamente significative, ha infatti resistito oltre quarant’anni – per il quale la migliore lettura del criterio di misurazione [v. ad esempio CdS n. 544/1981, preceduto peraltro da alcune pronunce di Tar, specie di quello laziale, ma anche dello stesso CdS] doveva ritenersi quella strettamente letterale del percorso coincidente tout court con la via pedonale più breve [in massima aderenza, dunque, con il disposto dell’ultimo comma dell’art. 1 della l. n. 475/1968] e, quindi, più “disinteressata” alle regole dettate dal codice della strada e, prima di questo, alle disposizioni riguardanti gli attraversamenti “zebrati” o più in generale di utilizzo pedonale.
Per lungo tempo, insomma, abbiamo letto che il percorso pedonale evocato nell’art. 1 della l. 475/68 è quello ordinariamente percorribile mediante una normale deambulazione, senza particolari ostacoli naturali [cosicché, ad esempio, il percorso pedonale può/poteva tranquillamente comprendere, sotto il profilo che qui ci interessa, anche il superamento di scalinate o gradini, ma certo non lo scavalcamento di un muretto di recinzione, anche se materialmente non impossibile].
Non c’era spazio, per dirla in breve, per una scrupolosa osservanza – nella misurazione della distanza tra la soglia del locale individuato per lo spostamento o l’apertura di una farmacia e la soglia della farmacia più vicina – delle disposizioni amministrative riguardanti semafori, “zebre” o simili, potendo generalmente il percorso pedonale da assumere ai fini della misurazione della distanza, salve circostanze di fatto costituenti ostacoli materiali all’adozione del percorso pedonale effettivamente più breve, prescindere dagli attraversamenti segnalati.
Questa conclusione è rafforzata dalla considerazione che tali passaggi pedonali, risultanti da una mera indicazione simbolica, ma non corrispondenti a una particolare configurazione del terreno, hanno – tra l’altro – la caratteristica, certo non irrilevante, di essere soggetti a frequenti modificazioni e spostamenti e dunque, concludeva ripetutamente il CdS, sarebbe (stato) arbitrario assumerli come determinanti ai fini del calcolo delle distanze.
Più recentemente il CdS n. 4832/2018 – confermando Tar Lombardia n. 2300/2017 in un giudizio sulla legittimità dell’autorizzazione rilasciata a una farmacia comunale di Milano per il trasferimento dell’esercizio all’interno della sede – fa tuttavia propria una notazione prima di allora poco utilizzata dal giudice amministrativo e riguardante, guarda caso, proprio gli attraversamenti pedonali “zebrati”.
Nel precisare cioè le modalità di calcolo della distanza effettiva tra i locali di apertura al pubblico di due farmacie, il CdS richiama in primo luogo il tradizionale criterio – di cui si è già detto – della “normale deambulazione pedonale”, e per il quale il rispetto dei 200 metri va verificato con riguardo alla via…più breve ordinariamente percorribile da un pedone, che è quella che gli deve permettere di raggiungere la “destinazione” bensì nel più breve tempo possibile, ma pur sempre, chiariva il CdS, in condizioni di sicurezza e senza esporsi a rischi.
E però – prosegue in quella circostanza il Collegio – se pure è vero che tale percorso pedonale più breve non deve indefettibilmente contemplare lo scrupoloso rispetto delle “zebre”, nondimeno il loro utilizzo si rivela ragionevolmente preferibile tanto più quando sia necessario sottrarre il pedone a situazioni di pericolo [come nell’ipotesi in cui egli sia costretto ad attraversare una “strada a doppia carreggiata, a flusso veicolare intenso e con visibilità ridotta a causa delle vetture parcheggiate a “spina di pesce””], perché allora anche le “zebre” – pur allungando fatalmente il percorso pedonale – possono/debbono essere considerate ai fini del computo.
Ancor più di recente, con un’interpretazione sempre attenta – beninteso – al criterio della normale deambulazione e tuttavia in condizioni di sicurezza per il pedone, il Tar Campania n. 4853/2021 [seguendo gli orientamenti di Tar Toscana n. 911/2020 o di Tar Lazio n. 229/2017 ma citando, per la prima volta, anche il comma 2 dell’art. 190 del codice della strada] afferma che il criterio del percorso pedonale più breve previsto dall’art. 1 della l. n. 475/1968 si riferisce a quello effettivamente percorribile a piedi da una persona normalmente deambulante in condizioni di sicurezza, giungendo a concludere che, “quale sia la classificazione del tratto di strada in questione”, non può computarsi in tale percorso il tratto di strada non percorribile in sicurezza dai pedoni a causa del transito di auto ad alta velocità e dell’assenza di semafori e/o attraversamenti pedonali.
E finalmente è proprio in questo quadro che si inserisce la sentenza n. 9399/2023 sopra richiamata, con cui il CdS – superando, salvi inevitabili ulteriori aggiustamenti, le precedenti interpretazioni di cui abbiamo dato conto – giunge ad affermare che qui deve trovare applicazione [il solo?] articolo 190 del nuovo codice della strada.
In questa direzione militano, secondo i giudici di legittimità, due ordini di considerazioni.
La prima, di tipo sistematico, impedisce di consentire l’ingresso nell’ordinamento ad atti amministrativi che presuppongano la disapplicazione di norme proprie di una data materia [in questo caso, la circolazione pedonale stradale, evidentemente], pena la violazione del principio di cui all’art. 97 della Costituzione, che è come dire che non può ammettersi la legittimità di un provvedimento che, proprio come nel caso di specie, faccia leva sulla possibilità dei destinatari dell’atto di non rispettare norme primarie.
Da un concorrente angolo prospettico, aggiungono i giudici, la possibilità di non fare riferimento al nuovo codice della strada è impedita dal rilievo che in questo modo sarebbe di difficile computo la misurazione tra due farmacie, finendo nei fatti per essere rimessa alla valutazione soggettiva del singolo pedone la scelta tra vie alternative.
Per concludere, come forse si sarà compreso, l’amministrazione – nel valutare la correttezza della misurazione della distanza “da soglia a soglia” come emergente dalla documentazione soprattutto peritale prodotta dall’interessato [che non è prescritto da nessuna parte che la p.a. debba verificare/replicare con propri uomini e mezzi] – non potrà ora non tener conto, oltre che dell’effettiva percorribilità da parte di un pedone della via indicata, anche della sua conformità alle regole del codice della strada, anche se è difficile sottrarsi all’impressione che le conclusioni del CdS necessitino ancora di adeguate rifiniture.
(gustavo bacigalupo)
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