Sono titolare di farmacia e ho licenziato un nostro dipendente per giusta causa, come mi ha consigliato il consulente del lavoro.
Ma in realtà, la condotta del lavoratore che ha portato al suo licenziamento – secondo quello che ha ammesso lo stesso consulente – non rientrerebbe esattamente tra i casi che secondo il CCNL di categoria permettono il licenziamento per giusta causa.
Quindi ho paura che il dipendente, impugnando il licenziamento, possa ottenerne dal giudice l’annullamento come del resto mi ha fatto pensare anche il mio avvocato che mi avverte che in questo caso dovrei reintegrarlo e corrispondergli tutte le mensilità relative all’intero periodo pregresso.
Un mio collega, qualche anno fa, si è trovato in una situazione del genere ed è stato condannato, dopo ben quattro anni dal licenziamento, a corrispondere una somma iperbolica al lavoratore.
La vicenda che Lei descrive è proprio una di quelle che più hanno reso complicati i rapporti di lavoro, come del resto abbiamo ricordato parecchie volte.
Il dibattito in merito all’interpretazione delle norme disciplinari del CCNL con riferimento all’applicabilità della tutela reale o indennitaria del comma 4 dell’art. 18, L. 300/1970, come modificato dalla c.d. Riforma Fornero, è stato comunque abbastanza di recente riaperto dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14777/2021.
Ai sensi della disposizione appena indicata, il giudice – quando il licenziamento disciplinare risulti illegittimo perché non rientrante “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili […]” – annulla “il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro […] e al pagamento di un’indennità risarcitoria”.
Nel caso deciso dalla S.C., l’azienda licenziava un lavoratore appunto per giusta causa, ma nel giudizio di merito si rilevava che la condotta tenuta dal dipendente non integrava gli estremi necessari per giustificare il provvedimento adottato: quindi, come si vede, la Corte è intervenuta su un caso molto vicino al Suo.
Ora, una volta accertata [o, perlomeno, asserita] la sproporzione tra la condotta del dipendente e il provvedimento di licenziamento, si trattava per la S.C. – proprio perché il fatto non coincideva con nessuno di quelli testualmente contemplati dal CCNL – di verificare se, nondimeno, fosse applicabile il comma 4 dell’art. 18.
Prima di entrare brevemente nel merito della pronuncia della S.C, ricordiamo che, fino alla pubblicazione di questa sentenza:
- secondo un primo orientamento interpretativo della giurisprudenza, il legislatore – nel comma 4 dell’art 18 dello Statuto dei Lavoratori – non avrebbe inteso limitare la portata del riferimento alle sole condotte “tipiche” previste dal CCNL ma avrebbe ritenuto applicabile il disposto normativo anche alle clausole di natura generale volte a distinguere le sanzioni espulsive da quelle conservative;
- stando invece al secondo orientamento, il legislatore avrebbe volontariamente introdotto un doppio livello di giudizio relativamente alla sproporzione tra licenziamento e condotta tenuta, cosicché, proprio alla luce di tale interpretazione, il citato comma 4 dell’art. 18 sarebbe applicabile soltanto nelle fattispecie tassativamente ivi indicate e quindi già in vigore al momento del fatto controverso.
Ricordando che, prima della sentenza in argomento, la Corte aveva mostrato – prendendo atto della sussistenza in seno alla Cassazione dei due orientamenti sopra indicati – di voler privilegiare il secondo dei due, mentre in questa circostanza, ritenendo invece tale orientamento interpretativo caratterizzato da “profili di irragionevolezza” [per la difficoltà/impossibilità di tipizzare tutte le ipotesi di “giusta causa”], modifica la sua posizione concludendo, sull’assunto dichiarato che sia invece il primo orientamento a dover prevalere, per la rimessione del caso alla Sezione Lavoro.
In sintesi, pertanto, le clausole previste dai Contratti Collettivi devono considerarsi di portata generale e quindi non circoscrivibili alle sole fattispecie ivi espressamente previste, ma estensibili anche a condotte non puntualmente contemplate nel CCNL .
Restiamo in attesa di ulteriori pronunce, ma se fosse proprio quest’ultimo orientamento a prevalere – come sembrerebbe – il licenziamento da voi impartito non dovrebbe rischiare di essere annullato dal giudice, come Lei paventa.
(cesare pizza)
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