Proprio sul versante dell’imposizione indiretta, infatti, è diventata meno onerosa – ma alle condizioni che vedremo tra un momento – il trasferimento di aziende contenenti immobili strumentali.

Il pensiero non può che correre immediatamente alla vendita da parte del titolare in forma individuale* della farmacia – e perciò anche dell’azienda commerciale sottostante al diritto di esercizio – quando ne costituisca bene strumentale anche il locale [in cui essa è ubicata], iscritto pertanto nel bilancio d’esercizio.


[*Anche se per la verità la farmacia, come sapete, circola attualmente soprattutto mediante la cessione delle partecipazioni alla società che la contiene [più che mediante la cessione diretta del bene-azienda], e questo per tanti motivi che non stiamo qui a ricordare,  non ultimo quello della maggiore onerosità del regime di imposizione diretta afferente alla cessione della farmacia come tale].


Ma andiamo con ordine.

Dunque, l’art. 1, comma 237 dell’ultima legge di bilancio stabilisce testualmente che “(i)n caso di cessione dell’azienda o di un ramo di essa con continuazione dell’attivita’ e mantenimento degli assetti occupazionali, al trasferimento di beni immobili strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si applicano l’imposta di registro e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200 ciascuna. In caso di cessazione dell’attivita’ o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente comma prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria”.

In pratica, come qualcuno avrà forse già colto, viene esteso alle compravendite aziendali con immobili strumentali annessi** quanto già previsto in materia di imposta di registro per i trasferimenti conseguenti a operazioni societarie straordinarie, quali fusioni, scissioni o conferimenti, che contestualmente realizzino anche il trasferimento di immobili dello stesso tipo.


**La norma fa riferimento agli immobili strumentali c.d per natura e in sostanza, per lo più, a quelli accatastati come C/1 (negozi) o A/10 (uffici); non rientrano perciò nell’agevolazione gli “abitativi”, come potrebbe essere il caso di immobili iscritti nel bilancio della farmacia dati in affitto a dei medici, o utilizzati come magazzino/archivio, ma in ogni caso ancora catastalmente appunto “abitativi” [un aspetto questo, detto tra parentesi, che andrebbe comunque regolarizzato…].


Ricordiamo che la cessione di azienda non è soggetta ad Iva ma a imposta proporzionale di registro nella misura del 3% del valore del compendio aziendale compreso l’avviamento, ad eccezione appunto del valore degli immobili in esso eventualmente contenuti, che sono invece assoggettati alla tassazione – secondo le aliquote previste per la corrispondente categoria – sulla base del valore venale in comune commercio (in pratica, il valore commerciale).

Così, senza questa nuova misura agevolativa, la cessione di una farmacia composta da beni mobili ed avviamento per un valore di 1.500.000 euro, e da un locale di categoria catastale C/1 (fabbricato strumentale per natura) utilizzato come sede dell’attività per un valore di 500.000 euro, sarebbe gravata da un’imposta di registro complessiva di 90.000 euro, di cui 45.000 euro per avviamento e beni mobili (1.500.000 x 3%) e 45.000 euro per il locale (500.000 x 9%) oltre alle imposte ipo-catastali per l’ammontare di 50 euro ciascuna.

Oggi, invece, la stessa operazione verrebbe a costare [all’acquirente, perché è l’acquirente generalmente a farsi carico di questi oneri] molto meno: l’imposta complessiva di registro ammonterebbe, infatti, a 45.200 euro, di cui 45.000 euro per la componente mobiliare e 200 euro per quella immobiliare, oltre a ulteriori 400 euro per le imposte ipotecarie e catastali, per un carico complessivo di 45.600 euro.

Un bel risparmio, non c’è dubbio.

Bisogna peraltro fare i conti anche con i “paletti” che il legislatore pone ai fini della validità dell’agevolazione, che infatti, come abbiamo letto nel comma 237 sopra riportato, viene espressamente condizionata:

  • alla continuazione dell’attività e al mantenimento degli assetti occupazionali esistenti al momento dell’acquisto;
  • al mantenimento dell’immobile per almeno cinque anni dall’acquisto.

Il venir meno di queste condizioni comporta l’applicazione delle imposte di registro e ipo-catastali nella misura ordinaria [cioè quella, per restare nell’esempio, applicabile fino al 31 dicembre dello scorso anno, prima cioè dell’introduzione del bonus in commento], anche se  le sanzioni dovrebbero essere escluse non essendo state espressamente previste dalla norma.

Ora, se la continuazione dell’attività e/o il mantenimento dell’immobile per almeno cinque anni dall’acquisto appaiono – almeno a una prima lettura – condizioni sufficientemente definite, così non è per il “mantenimento degli assetti occupazionali”, espressione che resta assolutamente vaga e indeterminata, sia con riferimento al periodo temporale di osservazione che non viene specificato [nel testo della disposizione il periodo quinquennale è  testualmente riferito alle sole ipotesi di continuazione dell’attività e/o di mantenimento dell’immobile] e sia riguardo alle effettive e concrete modalità di determinazione di questo parametro.

Potrebbe infatti bastare [ma il condizionale è d’obbligo per il doveroso margine di incertezza interpretativa che residua…] che un dipendente si dimetta per qualsiasi ragione per poter concludere, in assenza di ulteriori specificazioni, che l’assetto occupazionale è mutato e quindi l’agevolazione non spetta più: francamente una lettura eccessivamente restrittiva che renderebbe sostanzialmente inapplicabile la disposizione in questione.

Si potrebbe, invero, anche in questo contesto utilizzare la nozione di unità di lavoro equivalente a tempo pieno (ULA) che costituisce, come forse è noto, la quantità di lavoro prestata nell’anno da un occupato a tempo pieno, oppure quella equivalente prestata da lavoratori a tempo parziale, in modo insomma da “normalizzare” le variazioni occupazionali che dovessero intervenire nel corso dell’anno; in questo modo si potrebbe evitare che un solo giorno di riduzione della forza-lavoro dia il via libera al recupero tributario.

Per concludere, dovranno essere chiariti con cura tutti questi delicatissimi aspetti prima di accedere, con ragionevole sicurezza, all’agevolazione fiscale al fine di evitare, come è intuibile, che l’Amministrazione finanziaria con una mano dia e da lì a poco … con l’altra riprenda, con l’inevitabile aggravio di interessi.

(stefano civitareale)

 

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