Avendo sentito pareri contrastanti, vorrei sapere per quanto tempo si devono conservare i moduli del consenso informato che i clienti ci rilasciano sia prima dell’esecuzione di un tampone Covid-19 che prima di accedere ai servizi di telemedicina (consenso per ECG; Holter cardiaco/pressorio ecc…).
Ho qualche dubbio anche sulle modalità di conservazione: se cioè il consenso viene sottoscritto su un modulo cartaceo, lo devo conservare così o per comodità posso digitalizzarlo come mi suggerisce il mio consulente informatico?

Intanto, è opportuno ricordare che stiamo parlando di prestazioni/servizi non inquadrabili nell’autocontrollo, in cui invece rientravano/rientrano certamente le prestazioni analitiche di prima istanza indicate sub e) del comma 2 dell’art. 1 del d.lgs. 153/2009.

Infatti, con la devoluzione alle farmacie, dapprima, di “test diagnostici che prevedono il prelievo di sangue capillare” [con l’introduzione, cioè, della lett. e‑ter) per effetto della l. 178/2020] e, successivamente, di “test diagnostici che prevedono il prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo” [con l’introduzione, cioè, della lett. e-quater) per effetto del dl. 24/2022 convertito con l. 52/2022], il legislatore sembrerebbe andato ben oltre la stessa autodiagnosi – quella puramente “fai da te” del paziente – per consentire alla farmacia/al farmacista di effettuare autonomamente test/analisi ad uso professionale [“che prevedono il prelevamento ecc.”], quel che del resto sembra emergere anche dalla recentissima nota ministeriale di cui abbiamo dato conto nella nota 6 della Sediva News del 18.10.2023.

Parrebbe certo, insomma, un ampliamento dell’area di operatività dei servizi/prestazioni professionali del farmacista [si ricordi che siamo sempre nello stretto ambito dei nuovi servizi] senza che, beninteso, quest’ultimo – considerata la sfera sicuramente circoscritta, in queste attività, dei suoi interventi a favore del paziente – sconfini minimamente nell’abusivismo professionale.

Inoltre, dovrebbe ormai trattarsi di un punto di arresto verosimilmente senza ritorno [e destinato semmai, a ulteriori ampliamenti…], perché non dimentichiamo che soprattutto quelle indicate sub e-quater) sono disposizioni non più temporanee ma permanenti essendo successive all’emergenza Covid‑19 e dunque sono – come si suol dire – a regime.

Senonché, venendo strettamente al quesito, proprio perché sono servizi/prestazioni che si risolvono bensì in accertamenti diagnostici [intesi, fosse pure, in senso lato] ma in ogni caso non autodiagnostici, derivando dal “…prelevamento del campione biologico a livello nasale, salivare o orofaringeo” [e‑quater)] o che “…prevedono il prelievo di sangue capillare” [e‑ter)], deve ritenersi fatalmente applicabile l’art.1, commi 3 e 4, della l. 22.12.2017 n. 219, per il quale ogni persona ha il diritto di essere informata in merito ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici.

Quindi, il paziente deve esprimere [o rifiutarsi di esprimere] il proprio consenso all’esecuzione dei test Covid-19 perché test diagnostici, e però – restando nel fattispecie descritta nel quesito-  anche all’esecuzione di prestazioni sanitarie rese – in farmacia o in un locale distaccato – in modalità c.d. di telemedicina.

Per quest’ultima, in particolare, le linee guida fornite dal Ministero della Salute chiariscono che andrà valutata l’opportunità di esplicitare nel modello – in termini specifici – i rischi che si corrono [come quelli, aggiunge il Dicastero, connessi “alla mancanza del contatto fisico e dello sguardo clinico del medico, l’impossibilità di una visita completa e di un intervento immediato in caso di urgenza*].


*E sono proprio queste parole ministeriali ad alimentare i dubbi – quantomeno leciti – sulla compatibilità della Telemedicina con le numerose norme di settore con cui essa rischia di confliggere.


Quanto al tempo di conservazione dei moduli del “consenso informato”, non c’è, o non c’è ancora, una disposizione legislativa – e neppure, ci pare, regolamentare o semplicemente provvedimentale – che contempli o addirittura prescriva un qualunque termine di durata e questo può spiegare forse i “pareri contrastanti” che Lei ha raccolto finora al riguardo.

La modulistica, però, se non altro per la migliore tutela della farmacia [nel caso ovviamente insorgano contestazioni o addirittura contenziosi], andrebbe conservata per la durata della prescrizione ordinaria, quindi almeno per 10 anni.

Infine, circa il “formato” del modulo da conservare, può essere preferibile ricorrere alla modalità cartacea, anche per una sua più agevole producibilità in giudizio; e però, qualora il “consenso” sia stato prestato digitalmente [cioè con firma digitale], sarà necessario conservarlo in questa modalità.

(aldo montini – gustavo bacigalupo)

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