Io e mio marito, che purtroppo è venuto a mancare all’improvviso da poco, eravamo in regime di separazione dei beni. Qualche mese prima di morire lui aveva acquistato una farmacia. Vi scrivo per chiedervi come funziona la successione in casi come questo, considerando che non eravamo in regime di comunione legale. Ho diritto comunque all’eredità? Aggiungo inoltre che abbiamo due figli, che hanno ormai 25 e 28 anni, e che mio marito non ha lasciato altri beni.

Ai sensi dell’art. 215 cod. civ., nel vigore del regime di separazione dei beni ciascun coniuge assume e conserva la titolarità esclusiva dei beni da lui acquistati durante il matrimonio, e invece – come abbiamo osservato altre volte – in caso di comunione legale gli acquisti effettuati indifferentemente a nome dell’uno o dell’altro, e salve le fattispecie per le quali il codice disponga altrimenti, rientrano di diritto e immediatamente nella comunione.
Ora, quanto alla disciplina successoria, mentre la scelta di un regime piuttosto che dell’altro non ha alcuna conseguenza sui diritti ereditari spettanti a ciascun coniuge, può avere invece grande rilevanza con riguardo – ancor più in vicende come la vostra in cui concorrono con il coniuge superstite anche altri eredi – all’ammontare del patrimonio ereditario, cioè alla sua determinazione.
Infatti, se un bene acquistato dal coniuge defunto in regime di comunione legale cade evidentemente in successione solo per la metà del suo valore, in quello di separazione, ben diversamente, lo stesso bene viene assorbito nella sua interezza dall’asse ereditario.
Ed è esattamente quest’ultimo il caso che può/deve riguardare Lei: all’apertura della successione, e quindi a decorrere dalla data del decesso, insorgerà infatti ipso iure tra Lei e i Suoi figli – cioè tra tutti voi, salva la formale e tempestiva manifestazione da parte di uno o più dei coeredi della volontà di non partecipare all’esercizio collettivo della farmacia – una società di fatto anche se, per le ragioni da noi ripetutamente illustrate, è opportuno che provvediate a regolarizzarla al più presto.
Inoltre, giova ribadirlo ancora una volta quantomeno per completezza, la società costituita dagli eredi – di fatto o regolare che sia – è e resta una società per la mera gestione provvisoria dell’esercizio caduto in successione e il termine di durata di tale “provvisorietà” è e resta di conseguenza quello della scadenza del sesto mese successivo alla presentazione della dichiarazione di successione, seppur con il limite in ogni caso del compimento del diciottesimo mese dal decesso.
L’acquisizione da parte e a nome della società come tale della titolarità della farmacia caduta in successione [indipendentemente che la compagine sociale sia rimasta immutata per tutto il tempo della gestione provvisoria o cammin facendo si sia tutta o in parte modificata] postula invece – oltre all’ineludibile sua regolarizzazione in società di persone o società di capitali – anche la formalizzazione della volontà negoziale di tutti i soci di partecipare per l’appunto a una società titolare di farmacia e, s’intende, anche l’insussistenza per tutti loro, pur semplicemente “autoasseverata” da ognuno, di cause che ex artt. 7 e 8 della l. 362/91 ne impediscano la partecipazione.
Diversamente, se dunque entro il detto termine non saranno state soddisfatte queste condizioni, e sempreché non si ricorra, magari proprio  in extremis, alla cessione dell’esercizio a terzi [se del caso seguendo la via, pienamente legittima, di cessioni di quote della società di gestione provvisoria], la compagine ereditaria rischia – anche se per la verità è capitato molto raramente di assistere a una vicenda del genere – di incappare in un provvedimento di decadenza dalla titolarità  che infatti, giova ricordarlo, per tutto il tempo della gestione provvisoria è rimasta in capo al de cuius.

(gustavo bacigalupo – cecilia v. sposato)

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