Ne avete parlato più volte ma anche nella nostra farmacia la consegna di un farmaco etico senza la presentazione della ricetta rischia di mettere nei guai sia il collaboratore che la farmacia.
In pratica è successo che, nonostante le assicurazioni e le indicazioni fornitegli al banco dal farmacista, il cliente – che era la persona stessa alla quale il farmaco era destinato – ha dovuto o voluto per prudenza ricorrere al pronto soccorso dell’ospedale perché si era reso conto di aver trasgredito le indicazioni del farmacista e assunto due compresse del farmaco invece dell’unica che gli era stato raccomandato di assumere.
A noi sembra onestamente difficile che quel cliente abbia potuto subire conseguenze importanti, ma la moglie ci ha minacciato di denuncia nel caso in cui il cliente dovesse avvertire ulteriori conseguenze.
Non crediamo che succeda granché ma vorremmo avere un quadro delle possibili conseguenze sia per il collaboratore che per la farmacia, sia penali che civili e anche dal punto di vista disciplinare.
Infine, come possiamo continuare a fare seriamente il nostro lavoro con tutti questi lacci e lacciuoli?
Evidentemente dobbiamo presumere che in questo caso non ricorressero i presupposti per giustificare la dispensazione di un farmaco etico in assenza della ricetta, e però – come del resto tutti ben sanno – accade frequentemente quello che Lei ha descritto nella Sua lunga email, da noi riassunta per ragioni di spazio.
Ma per quanto riguarda la nostra rubrica, abbiamo già avuto occasione di soffermarci largamente su questi “infortuni” e quindi possiamo richiamare quanto delineato in quelle circostanze.
Dunque, esaminiamo la questione che Lei pone sul terreno delle preoccupazioni di ordine penale, che però sarebbero pienamente giustificate [restando in questa particolare fattispecie] soprattutto nel caso – più che altro teorico – in cui la somministrazione del farmaco “etico” fosse avvenuta non solo in assenza della prescrizione ma per mera ed esclusiva indicazione del farmacista, così che quest’ultimo si sia in pratica sostituito al medico.
A parte questa mera ipotesi, si potrebbe comunque configurare – ma evidentemente soltanto a carico del collaboratore [a meno che alla dispensazione del farmaco abbia partecipato anche, ad esempio, il titolare o il direttore responsabile della farmacia] – una responsabilità penale laddove dall’ingestione delle due compresse invece che di una di quel farmaco fossero derivate conseguenze gravi alla persona del paziente, tanto da integrare il reato di lesioni personali [sia pure nella sua figura colposa], ma ci pare che Lei questo tenda ad escluderlo.
È utile tuttavia richiamare anche qui un principio su cui altre volte ci siamo soffermati e che riguarda anche gli aspetti penali.
Se allora, replicando quanto già abbiamo scritto, la mia condotta è stata causa di un evento A che a sua volta è stata causa di un evento B, la mia condotta si rivela (anch’essa) causa dell’evento B, salvo che tra A e B non si sia interposto un fatto – un comportamento della stessa “persona offesa” o di altri, un avvenimento qualunque, ecc. – anormale, o anche soltanto eccezionale, che di per sé abbia imprevedibilmente assunto un ruolo decisivo nella produzione dell’evento B, presentandosi così, più che come “concausa” [che peraltro in quanto tale non scriminerebbe la mia condotta], come vera e unica causa e quindi direttamente determinante dell’evento B.
Trasferendoci sulla vicenda da Lei descritta, l’evento A è ovviamente la dispensazione del farmaco “etico” senza ricetta, e l’evento B le (ipotetiche) lesioni personali del paziente/cliente.
Ora, tenendo però ben presente che la mediazione del medico è richiesta – quando è richiesta, come nella specie – proprio perché le sue indicazioni e/o raccomandazioni al paziente nel prescrivergli un farmaco “etico” [espresse nella ricetta e/o semplicemente verbali] possono/devono riguardare anche le modalità della sua assunzione, bisognerebbe verificare se qui sia stato proprio il successivo accadimento, cioè l’assunzione del farmaco da parte del cliente in un numero di compresse doppio rispetto all’unica compressa prescritta nel “bugiardino”, a cagionare direttamente, appunto per la sua anormalità o eccezionalità, l’evento lesivo.
Non è facile però, almeno per noi, dire sulla carta [stando sempre sul versante penale] se e quanto sia anormale, irragionevole, imprevedibile, ecc., assumere due compresse di un medicinale, anzi di quel medicinale, invece dell’unica “consigliata” dal “bugiardino” [e a quanto pare anche dal vs. collaboratore].
E però – attenzione – alle indicazioni contenute nel “bugiardino” potrebbe forse riconoscersi un ruolo addirittura decisivo cosicché nel nostro caso il comportamento del cliente, che non sembra essersi dato cura di consultarle, potrebbe scriminare la condotta del collaboratore.
Quanto agli altri piani di responsabilità, non c’è dubbio che la condotta di quest’ultimo – sol per aver dispensato senza ricetta un farmaco soggetto a prescrizione – sia passibile di essere perseguita deontologicamente per infrazione agli artt. 24 c. 2, 26 c.1 e 40 c. 4 del vs. Codice [e allora, specie in caso di eccessivi “clamori” o “rumori”, l’Ordine potrebbe anche avviare un procedimento disciplinare a suo carico, pur senza prospettive troppo severe all’orizzonte].
Inoltre, l’indiscutibile illiceità del fatto [per la violazione degli artt. 88 e segg. del D.Lgs. 219/2006] potrebbe comportare – con il concorso degli ulteriori presupposti normativi – la responsabilità della farmacia come impresa [a sua volta legittimata a rivalersi sul collaboratore] dal punto di vista civilistico, che non postula necessariamente quella penale, anche se naturalmente è imprescindibile che un danno risarcibile vi sia stato [e che magari non operi la polizza stipulata per la RC professionale].
Infine, la farmacia potrebbe incappare – tanto per completare il quadro sintetico di quel che potrebbe virtualmente accadere – nelle sanzioni amministrative previste nell’art. 148 del citato DLgs 219/2006 [da 300 a 1.800 euro ovvero, in caso di ricetta non ripetibile, da 500 a 3.000] ma con l’ulteriore eventualità, anche se molto molto remota, di un provvedimento di chiusura dell’esercizio da 15 a 30 giorni [per i farmaci veterinari e per gli stupefacenti le sanzioni sono diverse].
L’ultimo Suo interrogativo, infine, è certamente comprensibile per molte e variegate considerazioni su cui però ci porterebbe troppo lontano soffermarci, tanto più che anche la ben nota l. Lorenzin, come abbiamo sottolineato un’infinità di volte, si è preoccupata soprattutto di inasprire certe sanzioni, introdurre nuove figure di reato, ampliare di fatto l’area di operatività di alcune di quelle previgenti, ma guardandosi bene dal prevedere forme di alleggerimento/snellimento della gestione della farmacia, rinunciando in extremis perfino a modificare nel modo che sappiamo l’art. 102 del T.U. San.
Per la verità, è proprio il T.U. nel suo testo ormai antico che – come le rappresentanze nazionali dei farmacisti hanno più volte con fermezza invocato a suo tempo nelle sedi ufficiali – meriterebbe di essere quasi interamente ripensato e riscritto; ma non crediamo possa esservi spazio per una revisione, ad esempio, dei princìpi trasgrediti dalla condotta del vs. collaboratore, che anzi crediamo necessario sopravvivano più o meno nella loro severità attuale.
E tutto sommato questo ci pare sia il pensiero anche di molti farmacisti.
(alessia perrotta – aldo montini)
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