[…da quella originariamente contemplata nel conferimento dell’incarico]
Sono socio unico di una srl unipersonale titolare di farmacia e qualche tempo fa, dopo aver deciso di vendere l’attività, ho dato mandato ad un mediatore per effettuare una cessione d’azienda.
La domanda che Vi pongo è la seguente: il mediatore pretende la provvigione, tra l’altro molto elevata, nonostante che con la società acquirente abbiamo convenuto di concludere l’affare in modo diverso, cioè con la cessione delle quote invece che dell’azienda e questo dopo aver rivalutato, su suggerimento del commercialista, tutte le mie quote sociali.
La risposta al quesito – che è poi quella indicata nel titolo – ci pare debba essere affermativa, sia per il tenore dell’art. 1755 cod.civ. [“Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”], che anche per una recentissima pronuncia della Cassazione [ord. n. 11675/23].
La nozione di “affare” rilevante a questo scopo – precisano i giudici di legittimità – deve intendersi in senso ampio, anche quando esso sia caratterizzato da una pluralità di atti, diretti nel loro complesso a realizzare il medesimo interesse economico rilevante, originiariamente avuto di mira dalle parti [si tratta delle “parti” del contratto di mediazione, quindi di colui che ha conferito l’incarico di mediazione e di colui che lo ha ricevuto].
Ne deriva che l’attività del mediatore – proseguono i giudici di legittimità – va remunerata anche quando i contraenti conferiscano all’affare una forma giuridica diversa da quella per cui il mediatore abbia prestato la propria opera e a tal fine il Collegio richiama il precedente di Cass. civ. n. 4381 del 20 marzo 2012, in cui è stato affermato – in un caso per molti versi analogo proprio a quello prospettato nel quesito – che sussiste l’identità dell’affare, rilevante appunto nel quadro dell’art. 1755 cod. civ., se in luogo della vendita di albergo, originariamente programmata, siano state trasferite tutte le quote della società titolare dell’attività, perchè l’interesse economico voluto dalle parti si è concretamente realizzato anche con l’utilizzo di tale diverso strumento giuridico.
Così anche sul piano soggettivo l’“identità dell’affare” deve valutarsi facendo riferimento non a una nozione giuridica di parte, ma a una nozione più ampia, che individua come tale il soggetto che ha beneficiato dell’efficacia causale dell’attività del mediatore con la realizzazione del concreto interesse economico perseguito, anche laddove l’affare si concluda con soggetti diversi da coloro che hanno inizialmente conferito l’incarico, ma ad essi legati da un rapporto di continuità e da identità dell’interesse economico da realizzare.
Tali principi rappresentano quindi il naturale corollario della formulazione adottata dal legislatore nel “disegnare” la disciplina della mediazione: l’art. 1755 cod. civ. assume infatti come parametro per il sorgere del diritto alla provvigione non le categorie giuridiche del contratto o del negozio giuridico, ma la nozione giuridico-economica di “conclusione dell’affare”.
In definitiva, ci pare dunque di poter affermare che nel Suo caso Lei debba corrispondere al mediatore la provvigione originariamente pattuita per l’affare concluso, prescindendo perciò dalla sua forma giuridica, diversa per l’appunto da quella inizialmente stabilita.
(cecilia v. sposato – gustavo bacigalupo)
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