Mia figlia si è da poco laureata in farmacia e vorrei cominciare a coinvolgerla nella “vita” della farmacia che in questo momento è intestata a me personalmente.
Per ora non me la sento di costituire una società e quindi vorrei trovare un’altra forma, ma mi pare che l’alternativa sia quella dell’assunzione di mia figlia come dipendente o quella di formare con lei un’impresa familiare. C’è qualche problema con l’una o con l’altra soluzione?
Questo è tema – come d’altronde molti altri che riguardano il settore – francamente “evergreen” della nostra Rubrica.
E però, come abbiamo già ampiamente illustrato, Lei e Sua figlia – questo è sicuro – non potete incappare in alcuna preclusione di legge, né con l’una né con l’altra soluzione.
Le è infatti consentito dar vita indifferentemente all’uno o all’altro dei due rapporti, anche se in un caso come questo – essendo per di più Sua figlia una farmacista pur soltanto di recente iscrizione all’Albo – la formazione di un’impresa familiare sembra lasciarsi preferire, anche per la sua idoneità a favorire la probabile costituzione nei prossimi anni di una società tra voi due.
Oltre comunque a evitare “dispersioni” di contributi all’Inps [anche se per la verità sarebbero qui consentite altre tipologie lavorative parimenti poco o nulla onerose da questo punto di vista], e concentrando pertanto sull’ENPAF la costituzione del (molto) futuro trattamento pensionistico, il ricorso all’impresa familiare Le permetterebbe di attribuire a Sua figlia/collaboratrice familiare una quota di utili d’impresa.
Certo, dovrebbe trattarsi di una quota bensì sulla carta proporzionale “alla quantità e qualità del lavoro prestato” (art. 230 bis c.c.), ma nei fatti determinabile – d’intesa, perlomeno virtualmente, con l’interessata – al termine di ogni esercizio annuale, che è esattamente quel che postulano/pretendono l’art. 230bis e l’art. 5 del TUIR, anche se civilisticamente, cioè per l’art. 230bis, l’i.f. ha regole diverse da quelle previste fiscalmente dall’art. 5*.
*N.B.: Si ricordi, per fare un esempio, che ai fini tributari gli effetti che derivano dalla costituzione di un’impresa familiare decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di formazione del relativo atto notarile [atto pubblico o scrittura privata autenticata], mentre sul piano civilistico l’i.f. opera sin dalla partecipazione lavorativa di un familiare all’impresa di un altro familiare, come è vero del resto che anche un rapporto di lavoro subordinato ha effetti immediati.
È chiaro però che la determinazione ex post del criterio di riparto degli utili d’impresa, può evidentemente agevolare un’adeguata valutazione anche sotto il profilo prettamente fiscale, essendo comunque vicende sulle quali per l’amministrazione finanziaria si è rivelato sinora [e le ragioni sono tante…] molto complicato verificare, poniamo, la migliore corrispondenza tra la percentuale attribuita e l’effettiva “quantità e qualità del lavoro prestato”, anche se, attenzione, le cose proprio qui stanno cambiando ed è un aspetto molto importante sul quale ci soffermeremo quanto prima.
Per il momento, tuttavia, ci pare di dover ribadire che – almeno nel Suo caso – l’impresa familiare sembra tuttora la strada più conveniente da intraprendere.
(matteo lucidi)
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