La legge di Bilancio ha previsto dunque [l’ennesima] rivalutazione delle quote sociali [oltre che dei terreni] al 1° gennaio 2023, con perizia giurata e pagamento della prima/unica rata al 15 novembre [e non del 30 giugno…] di quest’anno, e però il contribuente può optare per il pagamento in tre rate di pari importo con gli interessi del 3% sulla seconda e sulla terza.

L’aliquota dell’imposta sostitutiva, come sapete, è salita però dal precedente 14% – che già recava un rincaro rispetto alla misura (11%) che è stata proposta e riproposta per parecchi anni – all’aliquota odierna del 16%.

In occasione del rialzo dall’11% al 14% abbiamo svolto qualche riflessione [v. Sediva News del 01/03/2022: “La “rediviva” rivalutazione delle quote sociali gioca al rialzo, ancora convenienza per le farmacie”] sulla persistente convenienza a cogliere quest’opportunità per i soci di società titolari di farmacie che siano in procinto – o abbiano progettato – di cedere le partecipazioni; riflessioni che quindi riteniamo utili ripercorrere anche oggi che vede questo incremento dell’aliquota al 16%.

Dunque, la data di riferimento per la perizia di stimal’abbiamo dettoè l’1/1/2023, che allora è anche la data iniziale del possesso dei beni da rivalutare, terreni o partecipazioni sociali che siano.

Pertanto l’operazione – si badi bene – può interessare soltanto le società esistenti a quella data e non quelle costituite successivamente.

Ricordiamo anche che la cessione di quote sociali (snc, sas e srl), operata da persone fisiche non nell’esercizio di imprese/arti o professioni, dal 2019 è soggetta a un’imposta ordinaria del 26% [c.d. ritenuta secca] che ovviamente grava sulla plusvalenza, cioè sulla differenza tra il prezzo di cessione ed il costo fiscale della partecipazione ceduta [pure se la determinazione di quest’ultima grandezza è suscettibile di diverse declinazioni anche in base al titolo di provenienza: successione mortis causa o negozio tra vivi].

Ben diversamente, l’imposta sostitutiva [ora appunto del 16%] si paga sull’intero valore periziato, ed è il caso che qui naturalmente più ci interessa, perché in questo caso si tratta di cessioni di quote effettuate da persone fisiche, che le posseggono come “privati” e cioè, per l’appunto, non nell’esercizio di imprese/arti e professioni.

Tuttavia, considerando che normalmente si accede alla rivalutazione già con le idee chiare sull’operazione da effettuare [in pratica avendo già “compromesso” la cessione delle quote o situazioni del genere], assumeremo nel prosieguo del nostro discorso che i due valori – quello di perizia e il prezzo di cessione – siano sostanzialmente coincidenti.

Chiarito questo, una semplice equazione matematica ci può aiutare a stabilire il c.d. punto di indifferenza, cioè il valore della plusvalenza – espressa in percentuale del prezzo di cessione – per cui è “indifferente” la scelta tra rivalutazione e tassazione ordinaria, visto che ambedue le soluzioni generano lo stesso carico fiscale.

Chiamando, infatti:

P il prezzo complessivo di cessione;

D la plusvalenza;

e ricordando che l’aliquota della tassazione ordinaria è il 26% mentre quella della rivalutazione è il 16%, si ha che:

26% D = 16% P

Da cui, attraverso alcuni semplici passaggi, si ricava che:

D=61,54% P

Quindi, possiamo concludere che quando la plusvalenza è pari al 61,54% del valore periziato diventa “indifferente” la scelta tra i due regimi.


N.B. In realtà, a ben guardare, se si considera anche il costo della perizia giurata, già per questo la bilancia rischia di pendere a favore della tassazione ordinaria…


 

Diventa invece più conveniente la rivalutazione quando la plusvalenza è superiore a quella percentuale; conclusione opposta, intuibilmente, nel caso in cui la plusvalenza sia inferiore, rivelandosi evidentemente più vantaggioso applicare la tassazione ordinaria.

Perciò, ogni cessione di partecipazione – e certo non fanno eccezioni quelle di società titolari di farmacie – deve essere assoggettata a questo giudizio comparativo per tentare di cogliere il regime più conveniente.

Ma, soprattutto nel nostro settore, con che frequenza si propone la convenienza ad aderire a quest’ennesima versione della rivalutazione, ora che l’aliquota dell’imposta sostitutiva è cresciuta di altri due punti, per un totale di ben cinque punti rispetto alla misura cui già da diversi anni eravamo abituati?

Anche stavolta, per cercare di dare una risposta all’interrogativo, ci aiutiamo con un semplice esempio, riferendoci esattamente a una snc titolare di una farmacia con un fatturato di 1.200.000 euro[1], composta da due soci con partecipazioni paritarie che siano in procinto di essere integralmente cedute.

La nostra società, grazie ad un’oculata gestione, è sufficientemente capitalizzata con un capitale sociale di 10.000 euro, interamente versato, e con riserve di utili pregressi non distribuiti per circa 300.000 euro, per un totale di patrimonio netto di 310.000 euro.

La stima attuale dell’avviamento ascrivibile alle cessioni di partecipazioni di società titolari di farmacie oscilla tra il 150% e il 180/200% del fatturato (c.d. metodo dei multipli)[2] a cui bisogna generalmente aggiungere, per arrivare al prezzo complessivo di cessione, il valore degli assets – cioè delle attività cedibili al netto delle passività dell’azienda-farmacia sottostante,  cioè la farmacia contenuta nella “scatola” societaria – che per lo più vengono assunti per il loro valore netto contabile: in definitiva dobbiamo sommare all’avviamento il valore del Patrimonio Netto Contabile (PNC) dell’azienda ceduta[3].

In questi termini il prezzo complessivo varia tra un minimo di 2.110.000 euro [1.800.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC] e un massimo di 2.710.000 euro [2.400.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC].

Il costo fiscale delle partecipazioni cedute è pari a 310.000 euro, dato dal valore nominale delle quote sottoscritte (10.000 euro) cui si aggiunge l’ammontare degli utili (tassati per trasparenza ma) non distribuiti che costituiscono la riserva (300.000 euro) (art. 68, comma 6, TUIR).

Volendo assumere per l’avviamento – continuando nel nostro esempio – un valore medio  tra quello minimo e quello massimo proposto di 2.100.000 euro [(1.800.000 euro + 2.400.000 euro)/2], abbiamo che la plusvalenza, quale differenza tra il prezzo complessivo di 2.410.000 euro (2.100.000 euro di avviamento +310.000 euro di PNC) e il costo fiscale delle partecipazioni di 310.000 euro, è pari a 2.100.000 euro, corrispondente all’87,14% del prezzo complessivo.

Nessun dubbio, a questo punto, che convenga la rivalutazione [sia pure con l’aliquota super-maggiorata del 16%] che infatti costerebbe 385.600 euro (2.410.000 euro x 16%) mentre con la tassazione ordinaria i nostri soci verserebbero ben 546.000 euro (2.100.000 euro x 26%).

Ma la conclusione di questo semplice esempio, nettamente a favore della rivalutazione, può essere davvero indicativa per l’intero settore?

Con un prezzo di 2.410.000 euro il punto di indifferenza tra i due regimi si verificherebbe per una plusvalenza di 1.483.114 euro (2.410.000 euro x 61,54%).

Da cui si evince che, per far pendere la bilancia a favore della tassazione ordinaria, e dunque a sfavore della rivalutazione, il PNC della società ceduta ‑ che, ricordiamolo, è il secondo elemento costituente il prezzo complessivo di cessione – dovrebbe superare il 38,46% del prezzo di cessione.

Nel nostro caso avremmo di conseguenza: 926.886 euro (2.410.000 euro – 1.483.114 euro).

L’esperienza ci dice che per una farmacia con quell’ammontare di ricavi un tale grado di patrimonializzazione è estremamente improbabile tenuto conto che un siffatto volume di “capitale proprio” investito nella società o è al servizio di un ampio progetto di sviluppo oppure rappresenta un’allocazione di risorse finanziarie palesemente scorretta; e ancora l’esperienza ci dice che patrimonializzazioni del genere non si rinvengono generalmente neppure nei casi in cui la farmacia abbia acquistato con risorse proprie, cioè non ricorrendo all’indebitamento, i locali ove viene esercita l’attività.

Certamente l’esempio svolto non può pretendere di giungere a conclusioni valide in tutti i casi e comunque vale la pena ribadire: che ogni cessione di partecipazione – ivi comprese quelle di società titolari di farmacie – deve essere assoggettata al giudizio comparativo tra rivalutazione e tassazione ordinaria, per essere [abbastanza] sicuri di cogliere il regime più conveniente.

Ci pare però che possa ritenersi sufficiente per concludere che francamente, nonostante l’inasprimento al 16% della misura dell’imposta sostitutiva, i casi in cui – per una cessione di partecipazioni sociali di società titolari di farmacia – non convenga aderire alla rivalutazione [scegliendo così la tassazione ordinaria] costituiscano ancora un numero ridotto.

* * *

Ci rendiamo conto di avervi intrattenuto parecchio, oggi come allora, su un argomento peraltro importante e sempre caldissimo, e tuttavia queste osservazioni – soprattutto se avrete la pazienza di rileggerle almeno una volta – crediamo possano darvi idee concrete, e magari anche abbastanza esaustive, circa le scelte che potrete essere chiamati a esercitare.

Prima di concludere, ricordiamo che questo provvedimento, che agevola le rivalutazioni di terreni e quote sociali, si è replicato, come vedete, anche quest’anno, quindi da ben 21 anni: e però, sembra che finalmente stia per diventare una misura a regime, come vi abbiamo anticipato nella ns. disamina di questi giorni del ddl delega di riforma fiscale.

(stefano civitareale)

 

[1] Che costituisce ancora ragionevolmente il fatturato “medio” delle farmacie italiane che pertanto riflette la dimensione economico-patrimoniale “tipica” di questi esercizi nel nostro paese.

[2] Anche questo è un dato suggerito dall’osservazione del mercato in questi ultimi mesi, anche se la redditività propria dell’esercizio ceduto sta acquistando sempre di più un ruolo centrale nelle trattative.

[3] In verità per gli immobili e per le merci non si assume il valore contabile, ricorrendo per i primi ad una valutazione di mercato e per le seconde ad una stima elaborata con criteri convenzionali ed applicata alle consistenze fisiche delle merci stesse, determinate sulla base di un inventario redatto alla data di cessione.

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