[…non integra il reato di esercizio abusivo della professione]
Con la recente sentenza n. 48839 del 22 dicembre 2022, la Suprema Corte ha affrontato il curioso caso della configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione a carico di più negozianti [nel caso di specie, macellai] che, nel proprio esercizio commerciale, consegnano medicinali ai clienti – con o senza obbligo di ricetta – per conto della farmacia vicina.
Rovesciando in pratica il tradizionale orientamento in materia, con la decisione richiamata i giudici di legittimità hanno escluso che la mera attività di deposito e consegna materiale di farmaci svolta nel caso di specie dagli imputati [appunto, macellai] potesse integrare il reato di cui all’art. 348 cod. pen.*, dal momento che essi “si limitavano a ricevere in consegna i farmaci ed a consegnarli ai destinatari senza svolgere alcuna attività di somministrazione diretta o commercio abusivo”.
* Art. 12 l. 3/2018 [c.d. Legge Lorenzin] “1. L’articolo 348 del codice penale e’ sostituito dal seguente: «Art. 348 (Esercizio abusivo di una professione). – Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attivita’, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attivita’ regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista [ndr. il titolare individuale della farmacia o il direttore responsabile] che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attivita’ delle persone che sono concorse nel reato medesimo»”.
Nella vicenda, peraltro, i farmaci distribuiti “provenivano dalla farmacia, confezionati e posti in buste intestate alla farmacia, contenenti anche lo scontrino, su richiesta del cliente, il quale provvedeva ad inviare la ricetta in farmacia, al ritiro e al pagamento presso gli esercizi commerciali”.
Gli imputati, in altre parole, non avevano somministrato né distribuito abusivamente i farmaci, che venivano ordinati al farmacista e fatti recapitare da quest’ultimo presso alcuni esercizi commerciali vicini per il ritiro da parte del cliente; il ritiro, dunque, avveniva “in busta chiusa”, con intestazione della farmacia, il nominativo del cliente e lo scontrino fiscale all’interno della “busta”, mentre il corrispettivo della fornitura/cessione [poco importa se materialmente consegnato al… macellaio] aveva comunque come unico effettivo destinatario proprio la farmacia.
Quanto, infine, al mancato rispetto delle norme concernenti la conservazione e/o il trasporto dei farmaci, la S.C. ha ritenuto una tale circostanza “solo ipotizzata” [come ha precisato la Cassazione con un’affermazione francamente poco condivisibile] e non anche, invece, accertata, sottolineando sul punto che “a compiere le attività tipiche della professione – ricezione ordinativi e ricette, predisposizione, confezionamento del prodotto e emissione dello scontrino fiscale, attestante la vendita – fosse la farmacista e che tali attività avvenissero esclusivamente nei locali della farmacia”.
I giudici hanno escluso, insomma, che la mera consegna di medicinali da parte di soggetti diversi da farmacisti e in luoghi diversi da farmacie potesse di per sé [in assenza quindi di ulteriori elementi fattuali] integrare la violazione dell’art. 348 cod. pen., precisando altresì che “quand’anche si volesse ritenere sussistente la condotta materiale, non è ravvisabile il dolo tipico della fattispecie, non risultando provata la consapevolezza degli imputati di svolgere attività proprie della professione di farmacista senza averne titolo, stante l’attività meramente materiale loro affidata da soggetto abilitato, che offriva alla clientela il servizio di consegna e recapito dei farmaci in un luogo concordato, comodo per il cliente”.
Una pronuncia, perciò, per molti versi rivoluzionaria, se non altro per il contrasto indubitabile con norme imperative e principi inderogabili della legge [l’art. 122 TU.San, ad esempio], anche se in grado con tutta evidenza di “facilitare” il cliente nel ritiro dei farmaci.
Certo, se una tesi così disinvolta facesse facili e rapidi proseliti, il rischio che ne possa seguire un andazzo difficile da gestire – e, al contrario, facile ai malintesi – sembra notevole.
(cecilia v. sposato – gustavo bacigalupo)
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