Sono ormai parecchi anni che ho perduto mia moglie e ho deciso di rinunciare al diritto d’abitazione dell’immobile in cui risiedo e che è tuttora in comunione con il mio unico figlio, intendendo trasferirmi in un appartamento vicino.
L’atto dovrebbe essere fatto per iscritto o può bastare semplicemente un accordo tacito tra noi? Quali imposte o altri oneri comporterebbe l’atto di rinuncia che naturalmente avvantaggerebbe mio figlio?

Intanto, quello di rinuncia è un atto a forma vincolata che, ai sensi dell’art. 1350 cod. civ., deve – a pena di nullità – “farsi per atto pubblico o per scrittura privata”.
Qualora quindi Lei intenda rinunciare al diritto d’abitazione, non può essere sufficiente un mero accordo verbale con Suo figlio.
Quanto al profilo fiscale, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 525/2022, si è recentemente pronunciata su un caso analogo riconducendo l’atto di rinuncia a titolo gratuito al diritto di abitazione su un immobile alla disciplina fiscale delle donazioni [per le quali l’aliquota nei rapporti tra parenti in linea retta e tra coniugi è pari al 4% del valore della donazione, con la franchigia tuttavia di 1 milione di euro per ciascuno di loro].
Inoltre, è anche prescritto il versamento delle imposte ipotecaria e catastale, dovute nella misura rispettivamente dell’2% e dell’1%, perché, come rilevato con ordinanza n. 2252/2019 dalla Cassazione, “ai fini fiscali… la rinuncia ai diritti reali si considera alla stregua di un trasferimento, in quanto generativa di un arricchimento nella sfera giuridica altrui, come tale soggetta a imposta ipo-catastale”.
Da ultimo, è chiaro che la base di calcolo per l’applicazione sia delle aliquote che delle franchigie non è l’intero valore dell’immobile, ma soltanto il valore del diritto reale oggetto di rinuncia.

(francesco sonnino)

 

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