Da un recente controllo delle buste paga del mio collaboratore farmacista e del magazziniere ho notato che a uno di loro, sicuramente per un errore del software di paghe del consulente del lavoro, sono stati versati per sei o sette mesi degli importi eccedenti la normale retribuzione spettante.
È possibile richiedere al lavoratore la restituzione delle somme?
Secondo la giurisprudenza, la retribuzione versata per errore al dipendente pubblico può – anzi, deve – essere recuperata secondo le regole dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. [“Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato”], perché elargita sine titulo, senza cioè una valida causa negoziale che “supporti” la dazione ex artt. 1322, comma 1, 1325, commi 1, e 1343 c.c.
Qui, invece, siamo evidentemente nell’ambito di un rapporto di lavoro privato e il quesito ascrive a un errore del software del consulente del lavoro l’avvenuto pagamento a uno dei dipendenti della farmacia di un importo eccedente quello convenuto e/o garantito dal CCNL applicabile.
E in questo caso, proprio perché riguardante un dipendente privato, la ripetizione da parte del datore di lavoro delle somme erogate in eccedenza è consentita solo in presenza di un errore scusabile e riconoscibile dal lavoratore, come peraltro sembrerebbe essere nel fatto da Lei proposto.
Quindi, in linea generale, una farmacia ben potrebbe corrispondere a un dipendente una retribuzione superiore a quella liquidatagli nei mesi precedenti, o comunque superiore ai minimi contrattuali (art. 2077 c.c.); ma, ove questo sia avvenuto per errore, incomberebbe proprio alla farmacia l’onere di dimostrare nella sede opportuna sia l’assenza di una qualunque sua volontà [naturalmente tacita] nell’aver pagato al lavoratore somme eccedenti quelle dovute e sia anche la riconoscibilità dell’errore stesso da parte del dipendente.
Di conseguenza, in tale evenienza – ma soltanto in tale evenienza e ricorrendo quindi i detti presupposti – il pagamento può essere considerato indebito e perciò la somma ripetibile.
E tuttavia, da qualche tempo si sta formando in giurisprudenza un orientamento tendente a sollecitare – in pratica, “caso per caso” – una prodromica indagine volta all’accertamento di un possibile/eventuale comportamento concludente del datore di lavoro, perché, ad esempio, una retribuzione maggiore erogata senza soluzione di continuità per un medio/lungo periodo di tempo potrebbe essere ragionevolmente riconducibile alla volontà datoriale di premiare il dipendente, quel che evidentemente escluderebbe la ripetibilità delle somme.
Seguendo allora questo orientamento, in un ipotetico giudizio graverebbe quindi proprio sulla Sua farmacia l’onere – certo non sempre agevole – di dimostrare in particolare che non solo il pagamento in eccedenza non era dovuto, ma anche che [nonostante l’errore si sia ripetuto per sei o sette mesi] esso non sia avvenuto per volontà del datore di lavoro, come d’altronde potrebbe essere appunto nel Suo caso per il ruolo decisivo svolto, a quanto pare, dal software del Suo consulente del lavoro.
Come vediamo, insomma, la vicenda è sicuramente più semplice nel caso di dipendente pubblico, molto meno nei rapporti di lavoro privati, anche se – per escludere l’applicabilità dell’art. 2033 del cod. civ. – può essere d’aiuto al datore di lavoro incolpevole/inconsapevole anche qualche ausilio in sede testimoniale.
(giorgio bacigalupo)
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