La mia farmacia sta passando un momento complicato, aggravato dai rincari delle bollette: mi trovo in difficoltà con i pagamenti, e ora non so come fare per gli stipendi dei dipendenti.
Mi sembra di aver letto da qualche parte che potrei utilizzare le somme con cui dovrei pagare l’iva: è vero?
La risposta, almeno in principio, non può che essere negativa, come ribadisce anche una recente sentenza della Corte di Cassazione [n. 30628/2022], che ha infatti riconosciuto la responsabilità penale dell’imprenditore per l’omesso versamento dell’Iva da parte di un’impresa entro il termine di legge [art. 10 ter D.lgs. 74/2000], invocando quale causa scusante la necessità di disporre della liquidità necessaria al pagamento degli stipendi al personale dipendente, come sembra essere il caso descritto nel quesito.
N.B. Art. 10 ter d.lgs. 74/2000: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.
Dalla lettura dell’art. 10 ter si evince che quel “termine di legge” – cioè il termine ultimo da rispettare ai fini del versamento dell’Iva nel quadro applicativo della fattispecie penale delineata nel detto articolo – coincide con quello c.d. “lungo” della dichiarazione annuale: per esemplificare, dunque, l’iva dovuta risultante dalla dichiarazione annuale 2022 per l’anno di imposta 2021 [presentata entro il 28 febbraio 2022], può essere versata anche in tempi successivi alla presentazione della dichiarazione [versando naturalmente eventuali sanzioni amministrative] purché entro il termine del 27 dicembre 2022.
In tale evenienza, pertanto, non si realizza l’elemento oggettivo del reato che quindi non si perfeziona rendendo così inconfigurabile una qualsiasi responsabilità dal punto di vista penale.
Tornando ora alla vicenda in esame, secondo gli Ermellini è pacifico che l’art. 10 ter richiede per la sua integrazione – questa volta quale elemento soggettivo del reato – il c.d. dolo generico: di conseguenza sono sufficienti, per il perfezionamento del reato in argomento, la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’Iva dovuta entro il precisato termine di legge, cosicché nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte è stato giudicato sussistente [oltre a quello oggettivo] anche il requisito soggettivo, tenuto conto che il contribuente aveva operato la precisa scelta di non versare l’imposta sia pure a beneficio dei dipendenti.
La Cassazione, richiamando i principi sanciti da una sentenza del 2013 delle SS.UU., ha inoltre precisato che la crisi di liquidità del contribuente al momento della scadenza del termine di pagamento dell’Iva non esclude la colpevolezza dell’imputato, se questi non dimostra di essersi adoperato per organizzare le risorse necessarie ad adempiere all’obbligazione tributaria e di aver adeguatamente fronteggiato la crisi ricorrendo a idonee misure da valutarsi in concreto, caso per caso.
“Occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, diretta a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, le somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”.
Insomma, al Fisco – come vediamo – non si sfugge troppo facilmente!
(stefano lucidi – cesare pizza)
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