Abbiamo aperto in due soci la farmacia vinta a concorso quasi tre anni fa: la titolarità è stata data alla società costituita tra noi, che è una snc, e non alle persone dei soci come in altre regioni.
In questi ultimi mesi il mio socio non si accontenta del compenso mensile previsto dallo statuto per lui e per me, ma approfittando dei poteri di amministrazione affidati sia a me che a lui dallo statuto, sta prelevando dalla Società somme maggiori dei compensi previsti.
Lui si giustifica spiegando che si tratta semplicemente di acconti sugli utili dell’anno.
Se ricordo bene quel che avete scritto voi più di una volta, questa pratica non dovrebbe essere consentita nelle società di capitali, mentre la nostra è una snc e quindi può darsi che sia lecita.
Come si rileva dal titolo, questo è un tema semplicemente fondamentale nella e per la vita di una società, di persone come di capitali, indipendentemente che si tratti o meno di una società titolare di farmacie.
Sull’argomento vanno registrate due recenti pronunce della Cassazione [ord. 17489/2018 e ord. 6028/2021] proprio in materia di società di persone, peraltro intervenute dopo un silenzio durato alcuni anni.
In ambedue le vicende giudicate dalla Suprema Corte si è trattato di decidere se i prelievi di utili sociali in acconto – effettuati dai soci nel corso dell’esercizio e quindi prima dell’approvazione del rendiconto annuale – siano legittimi.
E in entrambi i casi la risposta della Cassazione è stata negativa, come vediamo subito in rapida sintesi.
- Divieto di distribuzione di “utili o acconti su utili non realmente conseguiti”
Intanto, nelle società di persone il diritto dei soci alla percezione degli utili viene espressamente subordinato dal codice civile all’approvazione del rendiconto, situazione contabile che notoriamente equivale in sostanza – quanto a criteri di valutazione – a quella di un bilancio.
Il disposto dell’art. 2262 del cod. civ., infatti, è in tal senso non equivoco: “Salvo patto contrario, ciascun socio ha diritto di percepire la sua parte di utile dopo l’approvazione del rendiconto”.
E però, attenzione, quel “salvo patto contrario” deve intendersi – ribadiscono le due citate ordinanze della S.C. – come possibilità di “limitare” e non di “espandere” il diritto del socio alla percezione di utili, e dunque è consentito, ad esempio, prevederne la distribuzione con il consenso di particolari maggioranze dei soci [perciò limitando e non espandendo].
Insomma, pietra angolare del vigente sistema di organizzazione normativa delle imprese societarie [comprese, giova ribadirlo, le snc e sas] è la regola per cui – precisa l’ord. 6028/2021 – può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci, a titolo di “utili o acconti su utili”, solo per utili “realmente conseguiti”.
Anzi, aggiunge la Cassazione, quella che si ricava dall’art. 2262 cod. civ. è una norma imperativa [come tale non derogabile se non, come abbiamo appena visto, limitandone a sfavore dei soci l’ambito di operatività], come conferma anche la sanzione penale che l’art. 2627 cod. civ. pone a carico degli amministratori che “ripartiscono utili o acconti su utili non realmente conseguiti”*.
Così infatti l’art. 2627: “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli amministratori che ripartiscono utili o acconti su utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserva, ovvero che ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che non possono per legge essere distribuite, sono puniti con l’arresto fino ad un anno. La restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve prima del termine previsto per l’approvazione del bilancio estingue il reato”.
D’altronde, chiarisce ulteriormente la Cassazione [ord. 17489/2018] richiamando un costante orientamento giurisprudenziale, la distribuzione di utili – ove appunto “non realmente conseguiti” – si risolve/risolverebbe in un’inammissibile depauperamento del patrimonio sociale cagionando un “rimborso mascherato dei conferimenti”, quel che può discendere soltanto dallo scioglimento del rapporto sociale rispetto a un socio, o naturalmente in caso di liquidazione della società.
- NO in ogni caso alla ripartizione degli utili quando il capitale sociale sia in perdita
Ma le due ordinanze pongono l’accento anche sul secondo comma dell’art. 2303 cod. civ., secondo cui in caso di “perdita del capitale sociale non può farsi luogo a ripartizione di utili fino a che il capitale non sia reintegrato o ridotto in misura corrispondente”.
I soci, pertanto, sono tenuti – in caso di perdita del capitale sociale – a provvedere, prima di qualsiasi prelievo o ripartizione di utili, a eliminare, quindi azzerare la voce “deficit patrimoniale”, e/o quella “prelievo del titolare/soci”, del bilancio ripianandola [perciò reintegrando quanto eventualmente prelevato in eccedenza rispetto agli utili] e solo successivamente liquidare i dividendi.
Si tratta qui di verificare situazione per situazione e procedere agli “aggiustamenti” che si rivelino opportuni e necessari e/o – se del caso – a porre in essere operazioni funzionali al ripristino comunque di una condizione che permetta l’ordinaria distribuzione degli utili.
- Quali i rimedi?
Chi ha avuto la pazienza di leggere queste note fin qui, si sarà forse chiesto – ove partecipi a una società di persone o di capitali [titolare di farmacie, nel nostro caso] – come e dove attingere, laddove evidentemente la partecipazione sociale sia in pratica l’unica sua fonte di reddito, le risorse finanziarie quando per l’appunto la società registri, ad esempio, un “deficit patrimoniale”, vicenda del resto non proprio infrequente nelle fasi di avvio di una farmacia magari conseguita a seguito di concorso.
E’ chiaro, infatti, che non [poter] prelevare alcunché fino al ripiano delle perdite e quindi fino alla maturazione di utili che – secondo quanto si è osservato in precedenza – siano giuridicamente ripartibili tra i soci, vuol dire con tutta evidenza non essere praticamente in grado di sostenere in termini adeguati le necessità imposte dalla vita di tutti i giorni.
Ecco allora assumere un ruolo decisivo – volendo anche per ragioni di spazio trascurare le pur numerose altre considerazioni che questo tema suggerisce – l’atto costitutivo/statuto che regola la vita della nostra società titolare di farmacia, in cui infatti può diventare perfino imprescindibile prevedere espressamente il diritto di uno o più soci al prelievo di compensi di lavoro, quando naturalmente nello statuto siano contemplate loro prestazioni lavorative.
Pensiamo in particolare alla remunerazione dell’attività espletata dal socio al “banco” e/o nel laboratorio e/o nell’area amministrativa della società, ma eviteremmo quando possibile di prevedere compensi e/o indennità a favore dei soci amministratori, se non altro per le implicazioni che possono recare sul piano previdenziale.
Qui però il discorso si allungherebbe eccessivamente e d’altra parte ne abbiamo parlato e ne parliamo spesso, volendo qui in ogni caso ribadire che può valere la pena – molto più spesso di quel che si pensi – affrontare con le idee più chiare possibile, perché no? una integrale “rivisitazione” dell’atto costitutivo/statuto della nostra sas o snc e ovviamente anche, volta a volta, dei rendiconti/bilanci nel corso della loro formazione.
Ma ne tratteremo ancora.
(gustavo bacigalupo – stefano lucidi)
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