Nella ns. città molte delle farmacie attualmente esistenti nella pianta organica sono da sempre ubicate nel centro storico le une a ridosso delle altre, cioè a distanza ravvicinatissima tra loro: dovrebbero essere probabilmente tutte proprietarie dei locali ed è forse questo che non le consiglia di spostarsi.
Sia il Comune che anche l’Ordine dei farmacisti stanno tentando da tempo di decentrare almeno due farmacie ma dicono che questo non può essere realizzato senza il consenso degli interessati.
Vorremmo chiedervi due cose: in virtù di quale legge è stato possibile tutto questo? E poi, se una di queste farmacie è costretta a lasciare il locale, deve spostarsi oltre i 200 metri?
Intanto, se non ricordiamo male, c’è un solo precedente in cui la Regione [che allora era l’amministrazione competente] si sia presa la briga – con il successivo avallo del giudice amministrativo – di modificare la pianta organica di un piccolo comune con tre sedi farmaceutiche prevedendo lo spostamento d’imperio di una delle tre in una zona di nuova formazione.
Si trattava, è vero, di una fattispecie in cui il provvedimento aveva comunque motivato esaurientemente le ragioni di quanto disposto, ma in realtà i suoi aspetti molto peculiari non la rendono agevolmente replicabile in altre situazioni, anche se la competenza ormai comunale della pianificazione territoriale del servizio farmaceutico [unitamente ad altre novità di grande rilievo introdotte in materia dal Crescitalia] potrebbe/dovrebbe forse facilitare la risoluzione di scenari aggrovigliati come quello descritto che non possono certo giovare alla migliore assistenza farmaceutica locale.
Ma sta di fatto che nel concreto, ci pare, veri rimedi a queste situazioni possono derivare soprattutto da accordi con e tra le farmacie interessate che però – magari anche per quel che il quesito sottolinea circa la proprietà dei locali – parrebbero tutt’altro che di comoda realizzazione [a meno di non tentare il ricorso a poco probabili ordinanze sindacali o prefettizie…].
Quanto alla genesi di situazioni che vedono “farmacie ubicate le une a ridosso delle altre” [riscontrabili peraltro in comuni minori come nelle grandi città], si spiegano con l’introduzione di una distanza legale tra farmacie solo per effetto della l. 2/4/68 n. 475, il cui art. 1 sancisce notoriamente in 200 m. la distanza dagli altri esercizi che ogni farmacia deve osservare rispetto alle altre, sia se neoistituita sia anche – come chiarì ben presto la giurisprudenza – in caso di spostamento di farmacie di vecchia istituzione.
Fino ad allora, dunque, le nuove farmacie potevano essere poste in esercizio (ex novo) anche a una distanza ravvicinatissima dalle altre, salvo dover osservare – ma soltanto nell’ipotesi di trasferimenti/spostamenti nella sede o da una sede all’altra – il limite minimo di distanza di 500 m., un limite che valeva anche in fase di prima ubicazione per tutte le farmacie rurali e per quelle (rurali o urbane) istituite in soprannumero.
È vero che nel tempo questo fenomeno si è potuto diradare per effetto di alcuni provvedimenti di decentramento, ma è tuttora abbastanza consistente, anche perché non è infrequente che la domanda di farmaci possa continuare a presentare termini più robusti – e suggerire perciò la permanenza nella zona – proprio nelle aree centrali, rendendo così preferibile per le farmacie [come anche il quesito sembra certificare] mantenere l’odierna ubicazione nell’auspicio forse, chissà, che a “decentrarsi” per cause di forza maggiore o per altro siano gli esercizi attualmente a stretto contatto di gomito…
Quanto all’ultimo interrogativo, ci limitiamo per il momento a ricordare che l’autorizzazione allo spostamento di una farmacia a una distanza dagli altri esercizi inferiore a quella legale ma superiore a quella precedente è stata più volte ritenuta legittima, quando tuttavia l’amministrazione avesse, da un lato, adeguatamente motivato il provvedimento circa la necessità che la farmacia mantenesse la sua ubicazione nella zona [per la forte domanda di farmaci, evidentemente] e, dall’altro, verificato l’assoluta e oggettiva necessità di lasciare gli attuali locali e l’impossibilità, parimenti assoluta e oggettiva, di reperirne dei nuovi a distanza minima legale. E perciò, in ultima analisi, verificato la sussistenza di cause di forza maggiore tali da giustificare la deroga alla prescrizione di legge.
Ma ne parleremo più a fondo in altra occasione.
(gustavo bacigalupo)
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