La crescente produzione giurisprudenziale sull’abuso del diritto sta configurando – come riconducibili alla sfera di questa vicenda – un numero sempre crescente di fattispecie che per lo più qualche tempo fa non vi sarebbero verosimilmente rientrate.
Questo elemento… statistico [ma non solo] deve indurre tendenzialmente a scelte – sul piano strettamente giuridico – un po’ meno… avventurose e comunque in linea generale prudenziali: il che vale ancor più, naturalmente, quando si pongano in essere operazioni che, specie all’occhio del Fisco, potrebbero risultare “sospette”, perché foriere di vantaggi per il contribuente che almeno in astratto – sotto il profilo fiscale, perché è di questo che stiamo parlando – potrebbero anche essere considerati indebiti.


Cos’è l’abuso del diritto? Ne abbiamo parlato più volte, ma è bene ricordare anche qui che l’art. 10, primo comma, dello Statuto del Contribuente stabilisce che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.”.


Quindi, come si evince dal testo normativo ora riportato, perché vi sia abuso del diritto è necessario che il contribuente ottenga per l’appunto un vantaggio indebito dall’esecuzione di una o più condotte [=scelte negoziali], e però, s’intende, non contra legem ma legittime.
Proprio il carattere della “legittimità” delle operazioni poste in essere dai contribuenti rende complessa all’ente verificatore l’individuazione di uno o più risultati vantaggiosi singolarmente e/o complessivamente configurabili, come detto, quali indebiti perché figli di una condotta elusiva del cittadino [ai danni dell’Erario].
È vero anche che l’attività della giurisprudenza – in particolar modo quella di legittimità – ha individuato in certe condotte dei contribuenti, come accennato all’inizio, il fine elusivo di alcune operazioni, quasi tipizzandole, e questo può probabilmente rendere in futuro via via più agevole per l’Erario contestare anche l’abuso del diritto, ma allo stesso tempo anche sostanzialmente più semplice per il contribuente evitare, in una maggiore certezza del diritto, trappole disseminate qua e là.
D’altra parte, la recentissima decisione della Cassazione in materia – la n. 480 dell’11 gennaio 2022 – si colloca esattamente in questo genus di pronunce proprio sull’abuso del diritto.
Nella vicenda decisa in tale circostanza, un contribuente – dopo aver donato alla moglie la casa di sua proprietà – acquista un’altra abitazione usufruendo dell’agevolazione prima casa [di cui non avrebbe potuto beneficiare ove fosse rimasto proprietario dell’unità donata] e qualche tempo dopo egli rientra in possesso del bene donato per la facile via del mutuo consenso, che, come abbiamo già avuto occasione di osservare, è l’accordo intercorrente tra le parti originarie di un contratto diretto a scioglierlo con effetto (generalmente) ex tunc, ai sensi dell’art. 1372 primo comma del cod.civ. [“Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge [1399 comma 3, 1453189672]”].
La casa a suo tempo donata dal marito alla moglie “torna”, per l’effetto, dalla moglie al marito mediante la risoluzione della liberalità originaria.
Ha dunque buon gioco la Suprema Corte nel ravvisare il chiaro intento di realizzare un vantaggio fiscalmente indebito derivante da un’operazione priva di sostanza economica.
Ma, anche prescindendo da fattispecie di evidenza quasi solare come questa, l’abuso del diritto rischia in ogni caso di rivelarsi spesso una “spada di Damocle” sulla testa del contribuente troppo disinvolto.

                                                         (matteo lucidi – gustavo bacigalupo)

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