Abbiamo partecipato in quattro farmacisti associati a un concorso straordinario e quando ormai eravamo senza grandi speranze ci è stata assegnata una sede adattissima a una gestione di farmacia economicamente soddisfacente per tutti e quattro e quindi l’abbiamo accettata e non vorremmo assolutamente perderla.
Crediamo che sia stato per noi un colpo di fortuna. Infatti nel primo interpello questa sede era stata assegnata ad altri colleghi che recentemente hanno rinunciato.
Ma ora purtroppo potremmo avere un problema: infatti, uno di noi circa tre anni fa ha partecipato come accomandante e con una quota esigua alla sas che la madre ha costituito con la sua piccola farmacia allo scopo, raggiunto poco tempo dopo, di vendere a un farmacista della zona sia la propria quota che quella del figlio.
Ho chiesto qualche giorno fa a un dirigente della Regione se questa operazione può pregiudicare l’assegnazione a noi quattro della sede e con mia sorpresa mi è stato fatto presente che quel nostro collega cedendo la quota avrebbe secondo lui contravvenuto all’obbligo, che ogni concorrente deve rispettare fino alla titolarità della farmacia assegnata, di non vendere la propria farmacia negli ultimi 10 anni, e il rischio per noi sarebbe quello di essere tutti esclusi dal concorso.
Onestamente mi è sembrato che neppure lui fosse molto convinto di quel che diceva e per ora di scritto non c’è niente perché formalmente non abbiamo inoltrato alla Regione nessun quesito, ma nessuno di noi, anche se non siamo legali, crede che la cessione della quota possa essere equivalente alla cessione di una farmacia e anche l’Ordine ritiene non legittima la tesi del dirigente regionale.
Abbiamo però molto timore perché vorremmo a ogni costo aprire la farmacia per la quale abbiamo anche già individuato i locali al punto che stiamo per firmare il contratto con il proprietario.
Vorremmo il vostro conforto.
Non capita spesso che un dirigente esprima verbalmente tesi di questa rilevanza, tanto più descrivendo all’interessato [anche se forse in termini dubitativi] uno scenario così disastroso.
- Un singolare “passa parola” e la [verosimile] genesi dell’idea regionale: CdS n. 229/2020
Ma, come se ci fosse stato un “passa parola” veramente curioso tra uffici regionali, abbiamo registrato in un paio di altre regioni vicende sostanzialmente sovrapponibili a questa e nelle quali infatti dei funzionari stanno manifestando sempre a parole esattamente la stessa idea.
È possibile del resto che questioni del genere [e soprattutto una questione come questa] si pongano anche in altri concorsi straordinari: è lecito cioè pensare che – se pure la gran parte di essi sta ormai volgendo al termine perché, se escludiamo il concorso campano, nello spazio di un lasso di tempo non eccessivo si compiranno per gli altri i sei anni dalla pubblicazione della graduatoria – l’ultimo interpello di ogni concorso possa implicare nei fatti una discreta ultrattività della procedura.
La coda potrà insomma essere lunga e scandita dall’insorgere di problemi, grandi o piccoli, sinora magari “sopiti”, e questo può esserne un esempio, pur se tutt’altro che edificante.
Non sembra dubbio in primo luogo che – una volta scaduti i termini per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso straordinario – il concorrente, in forma individuale o associata, fosse/sia libero di svolgere qualsiasi attività, imprenditoriale o professionale o lavorativa in genere, senza incappare in preclusioni o impedimenti di alcun tipo e comunque senza ricadute sulla sua posizione all’interno del concorso.
E però questo, s’intende, solo fino a quando la fase del procedimento che lo condurrà, individualmente o collettivamente, alla titolarità della farmacia relativa alla sede conseguita [una fase che è ortodosso definire subprocedimento] non gli imporrà qualche scelta.
Quindi, ad esempio, egli potrà essere costretto – se non vuole decadere dall’assegnazione, ove già perfezionata, e/o essere escluso dal concorso unitamente a eventuali altri coassegnatari – a recedere dal rapporto di lavoro pubblico o privato [salve le ipotesi specifiche che abbiamo delineato in altre occasioni], o sottrarsi a qualsiasi rapporto con l’industria farmaceutica o con “altra farmacia”, o rinunciare alla titolarità della farmacia rurale sussidiata o soprannumeraria posseduta al momento della presentazione della domanda, o della farmacia anche urbana acquisita successivamente, e così via.
Ma – come nella fattispecie proposta alla ns. attenzione – il vincitore/assegnatario [individualmente o collettivamente] di una sede potrà anche essere tenuto a cedere a titolo oneroso o gratuito la quota di una società titolare di farmacia eventualmente medio tempore da lui acquisita e questo, in particolare, quando l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della farmacia abbia optato, secondo il dictum dell’A.P. del CdS, per la titolarità pro quota.
Fatte queste premesse, dobbiamo inevitabilmente tentare di cogliere la genesi di questa idea [certo sorprendente] condivisa contemporaneamente da almeno tre regioni, anche se abbiamo molto più che un sospetto che il suo fondamento – che, come vedremo subito, è in realtà un assoluto “non fondamento” – dovrebbe ragionevolmente essere lo stesso.
In particolare, siamo fortemente propensi a credere che questa sia una posizione che nasca da una malintesa lettura di un’isolata, anche se recente, sentenza del CdS, quella n. 229 del 10.1.2020, che dunque rischia di fare danni “collaterali” che andrebbero ben oltre la vicenda scrutinata in quella pronuncia.
- Cessione della farmacia e della quota ante Bersani 2006…
Nella circostanza, infatti, il Supremo Consesso si trovò a decidere se la preclusione decennale potesse applicarsi anche ai farmacisti soci di una società titolare di farmacia che – uti societas – aveva venduto la farmacia [l’unica di cui poteva essere allora titolare una società di persone] prima che il Bersani 2006 introducesse, oltre alla multititolarità [fino a quattro farmacie ubicate nella stessa provincia], anche la pluripartecipazione di un farmacista a un numero infinito di società, prima cioè che il Bersani sciogliesse [una volta per tutte, aggiungiamo] quel “legame strettissimo” che, secondo il CdS, la l. 362/91 aveva costituito tra “farmacia gestita dalla società e soci-(necessariamente) farmacisti, a garanzia della corretta gestione del servizio farmaceutico”.
Sull’esatto perimetro decisionale di questa sentenza abbiamo comunque scritto ampiamente nella Sediva News del 14/01/2020, precisandone in termini che crediamo non equivoci il ristrettissimo ambito applicativo – in realtà coincidente con la sola particolarissima fattispecie da essa decisa – e che dunque non può beneficiare di spazi di operatività ulteriori rispetto a quello puntualmente tracciato in quel “precedente” del CdS [peraltro di per sé già discutibile per parecchie ragioni accennate in tale occasione ma che sarebbe lungo approfondire e illustrare ulteriormente in questa sede].
- …e post Bersani 2006
È un “precedente” che non può perciò essere invocato – neppure come mero riferimento giurisprudenziale – in fattispecie che, come quella descritta nel quesito, nulla hanno a che fare con la vicenda scrutinata in quella circostanza, perché è indubbio che nel Vs. caso, differentemente che nell’altro, non solo la società de qua è stata costituita molti anni dopo il Bersani, ma soprattutto è dopo il Bersani che sono state effettuate le cessioni che in ogni caso hanno inequivocabilmente avuto per oggetto quote sociali operate dai soci uti socii [compreso il socio che partecipa alla Vs. compagine assegnataria della sede] e non la farmacia come tale operata dalla società uti societas.
Insomma, qui alla società e ai soci non sono minimamente riconducibili i presupposti di identificazione società-soci delineati dal CdS.
Sembrerebbe invece che a giudizio di quei funzionari in casi come questo – quale conseguenza diretta [o indiretta?] della cessione della quota effettuata da un concorrente covincitore – sia per ciò stesso venuto meno un requisito di ammissione, anzi di permanenza nel concorso, in capo a quel componente la compagine associativa con la conseguente esclusione dalla graduatoria anche dell’intera formazione associata, esclusione che deriverebbe evidentemente [perché non potrebbe ipotizzarsi null’altro…] dal combinato disposto degli artt. 2 e 12 dei bandi regionali di concorso straordinario.
Più esattamente, secondo questo probabilissimo assunto dei funzionari regionali, il concorrente che abbia effettuato la cessione di una quota di società titolare di farmacia prima del rilascio della titolarità della sede conseguita per concorso avrebbe perduto uno dei requisiti previsti sub 6 dell’art. 2, cioè quello “negativo” di “non aver ceduto la propria farmacia negli ultimi 10 anni”, requisito che, come precisa la nota 4, deve permanere “fino al momento dell’assegnazione della sede”, in difetto dovendosi applicare la causa di esclusione “dalla graduatoria e dalla sede” prevista sub e) per la “mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 2 emersa successivamente all’interpello”.
- Nessuna “preclusione decennale”
Entrerebbe quindi in gioco, anche in casi come questi, la famosa “preclusione decennale”, prevista nel quarto comma dell’art. 12 della l. 475/68, secondo cui “il farmacista che abbia ceduto la propria farmacia ai sensi del presente articolo o del successivo art. 18 non può concorrere all’assegnazione di un’altra farmacia se non sono trascorsi almeno dieci anni dall’atto del trasferimento”, una disposizione dettata pacificamente per i concorsi ordinari [i soli del resto che potevano allora essere banditi] ma implicitamente richiamata, con una scelta dal punto di vista giuridico ineccepibile, anche in tutti i bandi di concorso straordinario.
Senonché, come si rileva agevolmente dal testo della disposizione, si tratta di un impedimento previsto testualmente solo a carico del “farmacista che abbia ceduto la propria farmacia ai sensi del presente articolo”, cioè ai sensi appunto dell’art. 12 e più precisamente del disposto del suo 11° comma per il quale “il trasferimento della titolarità delle farmacie, a tutti gli effetti di legge, non è ritenuto valido se insieme col diritto d’esercizio della farmacia non venga trasferita anche l’azienda commerciale che vi è connessa, pena la decadenza”.
Qui il Vs. collega, ben diversamente, non ha certo trasferito “la propria farmacia”, e inoltre – ma soprattutto – la cessione della sua quota sociale non ha coinvolto, né avrebbe potuto in alcun modo coinvolgere [quel che invece imporrebbe, come abbiamo appena letto, l’11° comma dell’art. 12], né la titolarità del diritto d’esercizio della farmacia sociale rimasta pertanto in capo alla società come tale e neppure, per la stessa ragione, l’azienda commerciale che vi era connessa.
In altri termini, la titolarità dell’esercizio e la sottostante azienda commerciale, inscindibilmente ascritte ambedue alla società prima delle cessioni delle quote [effettuate da soggetti persone fisiche ad altri soggetti persone fisiche], sono rimaste ambedue inscindibilmente ascritte alla società stessa anche dopo la cessione, talché le cessioni – neppure quindi quella operata dal vs. collega – non hanno in alcun modo potuto incidere sul trasferimento della titolarità e/o dell’azienda sottostante, come è vero d’altronde che la partita iva del soggetto‑società è rimasta certamente la stessa e che il provvedimento comunale [o della Regione o dell’Asl secondo i criteri di riparto delle competenze] si è risolto certamente in una mera presa d’atto delle intervenute variazioni “della compagine sociale”, perché di nulla si è trattato se non di una variazione “della compagine sociale”.
È dunque una fattispecie che, in definitiva, non sembra possa ritenersi sotto nessun profilo sussumibile nella ben delineata e circoscritta sfera di operatività dell’art. 12, che, come si è visto, è la condizione espressa che sola può far scattare la preclusione decennale, rendendo così vano, ci pare, qualunque tentativo di estenderne l’area applicativa a vicende diverse da quella che veda un titolare individuale di farmacia trasferire titolarità e azienda della “propria farmacia” a un qualsiasi terzo, persona fisica o società che sia.
- L’interpretazione restrittiva del combinato disposto degli artt. 2 e 12 dei bandi
Infine, non si può non evidenziare con il giusto vigore che il precetto che si ricava combinando il disposto sub 6 dell’art. 2 [e relativa nota 4] e quello sub e) dell’art. 12 dei bandi è una norma restrittiva e pertanto va interpretata ineludibilmente in termini altrettanto restrittivi, senza perciò poterle attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole utilizzate nel bando, come sancisce il fondamentale art. 12 delle preleggi.
La cessione di una quota di una società titolare di farmacia, in definitiva, resta una cessione di quota sociale e non può essere consentito all’interprete, e dunque neppure all’Amministrazione pubblica, assegnarle un ruolo equiparato o equiparabile al trasferimento di una farmacia operata dal suo titolare in forma individuale che è la sola ipotesi che, ai sensi dell’art. 12 della l. 475/68, può comportare la preclusione decennale.
Ci sembra veramente difficile aver dubbi su una tale conclusione anche se varrebbe la pena – e non solo in un caso fin troppo chiaro come questo – tentare di provocare interventi autorevoli che possano dissipare rapidamente fughe in avanti e francamente intollerabili.
(gustavo bacigalupo)
La SEDIVA e lo Studio Bacigalupo Lucidi prestano assistenza contabile, commerciale e legale alle farmacie italiane da oltre 50 anni!